Pubblicato in: Cina, Devoluzione socialismo, Unione Europea

Cina. Di gran lunga i migliori studenti al mondo.

Giuseppe Sandro Mela.

2020-01-07.

2019-12-09__Scuola cinese

La Cina ha alle spalle cinque millenni di tradizione meritocratica, accuratamente custodita dalla scuola mandarinica, indipendentemente dal nome con il quale la si voglia denominare.

Senza comprendere questa caratteristica sarebbe impossibile comprendere sia la Cina sia le sue espressioni particolari, quali in questo caso, la scuola cinese.

«Hanno superato i loro coetanei in tutte le materie prese in considerazione: matematica, scienze e persino la lettura e la comprensione dei testi»

«Non c’è più alcun dubbio: gli adolescenti cinesi sono gli studenti migliori al mondo»

«A rivelarlo è lo studio triennale che l’OCSE svolge su studenti quindicenni in tutto il mondo»

«Dai dati che emergono dalla ricerca si evince che gli scolari che provengono dalle quattro province cinesi di Pechino, Shanghai, Jiangsu e Zhejiang hanno ottenuto risultati ben più alti della media in scienze e matematica»

«Circa 1 studente su 6 (16,5%) a Pechino, Shanghai, Jiangsu e Zhejiang (Cina) e 1 su 7 a Singapore (13,8%), hanno raggiunto i massimi livelli in matematica. Un dato che è pari solo al 2,4% nei paesi OCSE»

«Un traguardo eccellente, che cozza con il reddito delle famiglie da cui provengono gli studenti. La maggior parte di queste infatti vive con possibilità inferiori rispetto alla media internazionale»

«il segretario generale dell’OCSE Angel Gurria nella nota allegata ai dati, ma si è anche detto rammaricato del fatto che i risultati migliori non siano stati ottenuti nei Paesi che hanno investito nella formazione»

«L’unica pecca riguarda il divario di genere: le studentesse cinesi infatti hanno sotto-performato rispetto ai coetanei maschi, in tutte e tre le discipline»

«La qualità delle loro scuole oggi alimenterà la forza delle loro economie domani»

* * *

«Per l’Italia si profila un declino delle competenze dei quindicenni e delle capacità di svilupparle»

«Nell’Unione europea, il Paese scende dal 18esimo al ventesimo posto su 28: superato da Lituania e Ungheria, distanziato da Lettonia e Repubblica Ceca, lontanissimo dalla Polonia (che è la vera sorpresa: balza al terzo posto subito dietro a Estonia e Finlandia).»

«l’Italia è appena diciannovesima per spesa pubblica in istruzione in proporzione dal reddito nazionale (Pil)»

«la spesa pubblica in istruzione in Italia scende dal 4,6% del Pil nel 2009 al 3,8% del 2016»

«Né consola molto che il Nord vada meglio, quasi su livelli polacchi. Perché non solo il Sud va malissimo»

«Resta però il dubbio se davvero questa scivolata verso il basso nelle competenze dei ragazzi italiani rispetto agli altri europei dipenda solo dalle risorse in meno»

«Merita studiarla bene questa questione, perché un’analisi dei numeri da vicino la smentisce»

«quasi tutti i Paesi europei che investono meno dell’Italia per ogni studente dai sei ai quindici anni di età hanno anche risultati superiori all’Italia nei test Pisa …. Spagna, dell’Estonia, di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Irlanda e Lituania»

«Quanto alla Svezia, ha risultati molto peggiori di quanto farebbe prevedere la sua altissima spesa in istruzione»

«L’Europa centro-orientale, con meno risorse, sta superando l’Italia»

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Punto primo. Comprendere perché la Cina primeggia.

La scuola cinese non è ideologizzata e segue criteri di professione strettamente meritocratici. È un continente con differenze tra zona e zona, ma cercheremo di estrarre le componenti principali.

– Tutti i bambini possono accedere all’istruzione elementare, che contempla lo studio mnemonico dei circa seimila ideogrammi. Le famiglie meno abbienti ricevono un sussidio statale che permetter al figlio di non gravare sulla famiglia. Il passaggio alle superiori è consentito a quanti superino una soglia invero severa. Quella cinese è una scuola che boccia alla grande, senza nessuna pietà. I migliori sono poi raccolti in collegi di stato, a totale carico dell’erario, che per loro largheggia.

– La disciplina scolastica è quasi militare. Gli insegnanti sono prudentemente sorvegliati e giudicati in base alla resa dei propri alunni, ma godono di una grande stima sociale ed anche di stipendi degni di quel nome. Hanno autorità e la esercitano.

– Gli insegnanti che non si rivelino essere all’altezza sono licenziati su due piedi, senza problemi né rimpianti.

– Le materie tecniche e scientifiche sono privilegiate

– Uno sguardo alla fotografia acclusa sarebbe maieutico. La classe è composta da più di cinquanta alunni, ed il corpo docente è risicato. La figura dell’insegnante ‘di sostegno’ non esiste. Mancano totalmente gli handicappati che pullulano nelle scuole occidentali, e la preservazione del rapporto di ‘gender’ è totalmente ignorato. Gli studenti sono in divisa. Le parole ‘assemblea‘ oppure ‘sciopero‘ sono semplicemente bandite: nessuno si sogna nemmeno di pensarle. Le vacanze sono intese come periodo di ulteriore studio.

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Una Greta, promossa a pieni voti anche se non aveva frequentato la scuola, sarebbe un fatto fuori dal ben dell’intelletto.

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Punto Secondo. La situazione italiana.

Il Miur mette a disposizione del pubblico il database sulla scuola, aggiornato purtroppo al solo 2017

– In Italia vi sono 3,312 istituti scolastici.

– Il corpo docente è formato da 737,243 persone, 127,999 maschi e 609,244 femmine, irrispettosi della parità di gender.

– In Italia 1,615 istituti hanno 89,384 docenti di sostegno, 14,345 maschi e 75,039 femmine.

– Gli Ata sono 183,425, dei quali 56,759 maschi e 126,666 femmine.

Ne consegue che il totale degli addetti alla scuola di ruolo sono 920,668.

Gli studenti che frequentano le scuole pubbliche sono 6,668,086, 3,434,565 maschi e 3,233,521 femmine.

Paucis verbis, in Italia vi sono 7.24 studenti per ogni dipendente a ruolo.

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Ma questo conto è incompleto.

La scuola italiana pullula di personale docente ed Ata non di ruolo: il loro numero è tempovariabile, quindi non esistono statistiche disponibili. Due soli commenti.

– Questi dati indicano come il numero dei docenti sia inversamente correlato ai risultati del test Pisa.

– Il Miur è diventato uno stipendificio, che paga poco e male i docenti perché sono una quantità stratosferica. Solo per paragone, il numero del personale a ruolo nella scuola italiana e quasi eguale al numero di personale in occupazione equivalente negli Stati Uniti, che hanno 320 milioni di abitanti.

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Quid agendum sit? Cosa fare?

L’organizzazione scolastica cinese è sotto gli occhi di tutti. Sarebbe solo sufficiente cercare di imitarla. In primo luogo, deburocratizzando l’intera struttura.

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L’Italia investe poco nell’istruzione, ma ha risultati Pisa peggiori anche dei paesi che investono ancor meno. In Europa è il fanalino di coda. Non è problema di investmenti,ma di deficit strutturale.

– La scuola italiana è stata statalizzata sullo stile di quella della ex-Unione Sovietica, ma deprivandola di meritocrazia e disciplina.

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Scuola: ecco perché i migliori studenti sono cinesi

Hanno superato i loro coetanei in tutte le materie prese in considerazione: matematica, scienze e persino la lettura e la comprensione dei testi. Non c’è più alcun dubbio: gli adolescenti cinesi sono gli studenti migliori al mondo. 

A rivelarlo è lo studio triennale che l’OCSE svolge su studenti quindicenni in tutto il mondo. Dai dati che emergono dalla ricerca si evince che gli scolari che provengono dalle quattro province cinesi di Pechino, Shanghai, Jiangsu e Zhejiang hanno ottenuto risultati ben più alti della media in scienze e matematica. Un traguardo eccellente, che cozza con il reddito delle famiglie da cui provengono gli studenti. La maggior parte di queste infatti vive con possibilità inferiori rispetto alla media internazionale. Circa 1 studente su 6 (16,5%) a Pechino, Shanghai, Jiangsu e Zhejiang (Cina) e 1 su 7 a Singapore (13,8%), hanno raggiunto i massimi livelli in matematica. Un dato che è pari solo al 2,4% nei paesi OCSE.

E che dire delle capacità nel campo della lettura? Secondo i dati dell’OCSE il 10% degli studenti cinesi più svantaggiati hanno mostrato risultati migliori rispetto alla media. L’unica pecca riguarda il divario di genere: le studentesse cinesi infatti hanno sotto-performato rispetto ai coetanei maschi, in tutte e tre le discipline.

«La qualità delle loro scuole oggi alimenterà la forza delle loro economie domani», ha commentato il segretario generale dell’OCSE Angel Gurria nella nota allegata ai dati, ma si è anche detto rammaricato del fatto che i risultati migliori non siano stati ottenuti nei Paesi che hanno investito nella formazione. Un segno che mette in luce come forse il sistema scolastico vada rivisto. «Se consideriamo il fatto che quelle quattro province cinesi hanno un reddito medio procapite molto inferiore alla media Ocse, è deludente che la maggior parte dei Paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico non abbia fatto registrare alcun sostanziale miglioramento rispetto alla prima rilevazione PISA del 2000».

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Perché gli studenti italiani non imparano?

L’idea europea di confrontare investimenti nelle scuole e preparazione degli studenti. Italia al 20° posto per risultati: la colpa non è solo dei pochi fondi.

Spesso accusati di agire in segreto, per una volta il mese scorso i ministri finanziari europei hanno davvero avuto una discussione semi-clandestina. Non si parlava di regole sul debito o per le banche, ma del più pubblico dei problemi: quanto spendere e come far sì che una nuova generazione di europei impari qualcosa sui banchi di scuola. L’idea era della Finlandia, uno dei Paesi che investe di più in educazione: ha chiesto alla Commissione europea di mettere in rapporto la spesa pubblica per scuole e università dei vari Paesi e i risultati degli studenti.

La graduatoria Pisa

Era questo l’aspetto che molti governi, comprensibilmente, non volevano fosse reso noto. Nessun politico, uomo o donna, ha voglia di essere giudicato a Bruxelles e criticato in patria perché magari usa il denaro dei contribuenti senza risultati visibili. In un’epoca di confronti internazionali continui sulle performance dei Paesi, mostrare che si buttano dei soldi addosso a un problema non basta più. Bisogna anche che lo si veda nelle classifiche. Il rapporto della Commissione è dunque rimasto confidenziale, ma il «Corriere» ha cercato di replicarne l’impianto confrontando la spesa in istruzione e i risultati dei ragazzi nei vari Paesi europei. È un buon momento per farlo. L’Ocse di Parigi, un organismo multilaterale, ha appena pubblicato l’ultima graduatoria Pisa («Programme for International Student Assessment») sul livello degli studenti di 15 anni. Deriva da un test su 600 mila ragazzi in 79 Paesi, somministrato nel 2018. Il «Corriere» lo ha raccontato in dettaglio il 4 dicembre con Gianna Fregonara e Orsola Riva.

Gli studenti italiani

Per l’Italia si profila un declino delle competenze dei quindicenni e delle capacità di svilupparle. Nell’Unione europea, il Paese scende dal 18esimo al ventesimo posto su 28: superato da Lituania e Ungheria, distanziato da Lettonia e Repubblica Ceca, lontanissimo dalla Polonia (che è la vera sorpresa: balza al terzo posto subito dietro a Estonia e Finlandia). In parte, era prevedibile: per la scuola nel bilancio pubblico resta ben poco. Nel 2015, ultimo anno con dati ufficiali confrontabili fra un numero sufficiente di Paesi europei, l’Italia è appena diciannovesima per spesa pubblica in istruzione in proporzione dal reddito nazionale (Pil). Piazzarsi ventesimi per le competenze dei ragazzi, in media, potrebbe essere solo il risultato della scarsità delle risorse dedicate. Né consola molto che il Nord vada meglio, quasi su livelli polacchi. Perché non solo il Sud va malissimo. Anche il Centro Italia è sotto la media Ocse in scienze e lettura, è appena sopra solo in matematica e comunque da un Paese con il trentesimo tenore di vita per abitante più alto al mondo si aspetterebbe qualcosa di più che misurarsi a una media Ocse. Questa è fatta in buona parte da economie molto meno ricche dell’Italia. Nei suoi studi la stessa Ocse mostra per esempio che nelle scienze in genere c’è una stretta correlazione fra il livello scolare dei quindicenni e il reddito per abitante nel Paese: più è alto il secondo, più sale il primo; in questo gli studenti italiani invece sono ben sotto a dove dovrebbero essere per il livello di benessere del Paese. Ma, appunto, almeno un po’ deve dipendere anche dalle strette di bilancio. Eurostat, l’agenzia statistica europea, mostra che la spesa pubblica in istruzione in Italia scende dal 4,6% del Pil nel 2009 al 3,8% del 2016. Non solo è una quota enormemente più bassa rispetto ai primi anni del Dopoguerra, quando arrivava al 9% del Pil (lo scrive Anna Maria Poggi, Per un diverso Stato sociale, Il Mulino). L’Ocse nel rapporto «Uno sguardo all’istruzione 2019» mostra anche che l’anomalia italiana dal 2010 a oggi è soprattutto in un taglio di spesa molto più profondo a questo settore che alla spesa pubblica in genere: in proporzione, si è scelto di penalizzare l’istruzione quasi cinque volte di più.

I fattori che pesano sui risultati

Resta però il dubbio se davvero questa scivolata verso il basso nelle competenze dei ragazzi italiani rispetto agli altri europei dipenda solo dalle risorse in meno. Se davvero sia colpa dei vincoli del debito o, come dicono alcuni, dell’«austerità» e magari dunque anche delle regole dell’euro. Merita studiarla bene questa questione, perché un’analisi dei numeri da vicino la smentisce. «Uno sguardo all’istruzione 2019» mostra come non sempre ogni euro speso si traduce in competenze dei ragazzi: quasi tutti i Paesi europei che investono meno dell’Italia per ogni studente dai sei ai quindici anni di età hanno anche risultati superiori all’Italia nei test Pisa. È il caso (in ordine decrescente di spesa) della Spagna, dell’Estonia, di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Irlanda e Lituania. Quanto alla Svezia, ha risultati molto peggiori di quanto farebbe prevedere la sua altissima spesa in istruzione. Tutti i valori sono espressi in parità di poteri d’acquisto — corretti per tener conto del costo della vita nei vari Paesi — quindi sono confrontabili. L’Europa centro-orientale, con meno risorse, sta superando l’Italia. Da anni la Polonia riduce la spesa scolastica in rapporto al Pil, ma balza in avanti nelle classifiche per la competenza dei ragazzi. Dunque sui risultati degli italiani devono pesare anche altri fattori: dai divari regionali, alla motivazione personale e delle famiglie, ai programmi o alla loro esecuzione. Osserva Riccardo Ricci, responsabile nazionale delle prove scolastiche Invalsi: «La spesa in istruzione non è solo bassa, è anche meno efficiente che in altre aree d’Europa. Dobbiamo porci il problema del modo nel quale utilizziamo le risorse». L’Ocse nota che in passato risultati frustranti nei test Pisa hanno spinto certi Paesi, dalla Colombia al Portogallo, a reagire e fare molto meglio. Magari ora sarà la volta buona dell’Italia.

Pubblicato in: Devoluzione socialismo

M5S e Fioramonti. Crocefisso nelle aule. Un sorprendente sondaggio.

Giuseppe Sandro Mela.

2019-12-09.

2019-12-05__Santo Crocefisso 001

Il problema del Santo Crocefisso nelle aule scolastiche è di lunga data, ma di recente è tornato agli onori della cronaca a seguito di un’intervista rilasciata dal Ministro Fioramonti.

Crocifisso in classe, il ministro Fioramonti contrario: ‘La scuola deve essere laica. Meglio una mappa del mondo’. Cei: ‘Avventato’

«Le dichiarazioni del ministro M5s dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti contro il crocifisso in classe riaprono il dibattito su una controversia non ancora risolta in Italia. “E’ una questione divisiva, che può attendere”, ha detto a Rai Radio 1 il neotitolare del dicastero della Scuola nella puntata del 30 settembre. “Io credo in una scuola laica, ritengo che le scuole debbano essere laiche e permettere a tutte le culture di esprimersi. Non esporrei un simbolo in particolare, ed eviterei l’accozzaglia, altrimenti diventa un mercato. La foto di Mattarella nelle aule? No, neanche il presidente la vorrebbe. Meglio appendere alla parete una cartina del mondo con dei richiami alla Costituzione”. Sul tema da anni si scontrano cattolici e laici.»

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Crocifisso a scuola, la Chiesa contro il ministro Fioramonti che vorrebbe toglierlo dalle classi

«La Conferenza dei Vescovi protesta: ha un valore educativo al di là delle religioni”.  Insorge il centrodestra. Gelmini: “Non è un elemento di arredo ma testimonianza delle nostre radici”. Il ministro Di Maio: “I problemi sono altri, andiamo avanti su cose concrete senza alimentare polemiche”.

“Togliere il crocifisso dalle aule delle nostre scuole darebbe solo manforte a Salvini. L’ex ministro dell’Interno, partendo da qui, farebbe una battaglia contro il governo che, oltre ad aumentare le tasse, lede anche la sensibilità di buona parte degli italiani”.  Così Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, voce della Chiesa italiana, interviene sulle dichiarazioni del neotitolare dell’Istruzione, che parlando ieri a “Un giorno da pecora”, ha riacceso la polemica di lungo corso sui simboli religiosi nelle scuole.

“Credo in una scuola laica, ritengo che le scuole debbano essere laiche e permettere a tutte le culture di esprimersi non esponendo un simbolo in particolare”. Così il ministro grillino Lorenzo Fioramonti.»

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Lungi da noi l’idea di entrare in diatriba sul problema che molti si pongono sul Santo Crocefisso esposto nelle aule e nei luoghi pubblici.

Si vorrebbe invece focalizzare il discorso sul risvolto politico della questione.

«Non è un elemento di arredo ma testimonianza delle nostre radici» [Gelmini]

«I problemi sono altri, andiamo avanti su cose concrete senza alimentare polemiche» [Di Maio]

«Togliere il crocifisso dalle aule delle nostre scuole darebbe solo manforte a Salvini. L’ex ministro dell’Interno, partendo da qui, farebbe una battaglia contro il governo che, oltre ad aumentare le tasse, lede anche la sensibilità di buona parte degli italiani» [Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale]

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Nella storia si trovano molti vescovi chiacchierati e chiacchierabili, ma vescovi fessi manco uno.

Mr Fioramonti ha fatto un gran regalo alla lega, che subito ha capitalizzato l’evento.

Infatti, un sondaggio subito effettuato, evidenzia come il 62.5% degli Elettori sia favorevole al Santo Crocefisso appeso in aula, mentre solo un 26.3% è contrario.

Per esternare uno dei pilastri della sua ideologia, Mr Fioramonti si è alienato immediatamente una consistente quota di potenziali Elettori, che hanno trovato rifugio nella lega.

Lega e Salvini ringraziano: si vince meglio sfruttando gli errori degli avversari.

Pubblicato in: Devoluzione socialismo, Istruzione e Ricerca

Italia. Un addetto alla scuola ogni 5.57 studenti, sei volte più che in Cina.

Giuseppe Sandro Mela.

2019-09-06.

2019-07-17__Scuola_Italiana__001

Il Miur, nel Portale Unico dei Dati della Scuola, mette a disposizione numerose tabelle numeriche.

Docenti a tempo indeterminato. Scuola statale Aggiornato a tutto il 2018-08-31.

ATA titolari per genere e fascia di eta’. Scuola statale. Aggiornato a tutto il 2019-03-04.

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L’Italia ha 8,481,183 persone in età scolare.

Il numero dei docenti a tempo indeterminato assomma a 1,346,487 unità lavorative.

Il numero geli Ata, acronimo di personale amministrativo, tecnico ed ausiliare, a tempo indeterminato assomma a 183,425 unità lavorative.

Il totale del personale a tempo indeterminato è quindi 1,346,487 + 183,425 = 1,529,912 addetti.

A questo numero dovrebbe essere aggiunto il personale non a tempo determinato, sul quale non sono però al momento disponibili statistiche recenti. Sono grosso modo stimabili trai 300,000 ed i 400,000 addetti.

Ragionando quindi sui soli dati disponibili emerge che in Italia vi siano:

– 6.29 studenti per ogni docente a tempo indeterminato;

– 5.57 studenti per ogni addetto alla scuola a tempo indeterminato.

Queste cifre sono tre volte maggiori di quelle riscontrabili per classi omologhe negli Stati Uniti, cinque volte maggiori per la Russia e sei volte maggiori per la Cina.

Tuttavia, mentre negli Stati Uniti, in Russia ed in Cina non risulterebbe che gli studenti siano particolarmente mal preparati, gli studenti italiani emergono essere particolarmente mal preparati.

Questi sono i risultati dell’Invalsi, pubblicati il 10 luglio.

«le scuole del Nord che riescono a mantenere un buon livello degli studenti durante tutto il percorso e le scuole di regioni come la Campania, la Calabria e la Sicilia in cui la metà degli studenti arriva alla Maturità con l’insufficienza sia in italiano che in matematica»

«soltanto due studenti su tre posseggono alla fine del percorso le competenze di base richieste dai programmi scolastici»

«matematica: se in terza media tre ragazzi su 5 (61,33 per cento) hanno appreso in maniera sufficiente o di più il programma, alla fine delle scuole superiori sono solo il 58,3 per cento quelli che si possono considerare «promossi»»

«in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna dove addirittura la situazione è rovesciata: il 60 per cento degli studenti non è sufficiente»

«Inglese: per quanto riguarda la comprensione orale solo uno studente su tre riesce a raggiungere il livello richiesto»

«i dati sulla lettura in inglese: il 51,8 per cento degli studenti di quinta superiore, cioè uno su due, arriva al livello B2. Ma resta un risultato comunque insoddisfacente»

«Si conferma anche per la quinta superiore il divario tra le regioni del Nord nelle quali l’insufficienza grave nelle prove di italiano è quasi fisiologica al di sotto del 10 per cento e quelle del Sud dove sfiora il 20 per cento in Puglia e Molise e supera il 25 in Calabria»

«Ma il vero problema della scuola superiore in Italia resta la matematica: ci sono regioni come la Calabria, la Campania e la Sicilia dove il 60 per cento dei ragazzi non ha raggiunto le competenze minime richieste dai programmi»

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Nel corso degli ultimi decenni la scuola ha subito una burocratizzazione che supera ampiamente quella che vigeva nella passata Unione Sovietica e nella Cina della rivoluzione culturale. Il corpo docente passa il suo tempo a disbrigare pratiche burocratiche che mai i burocrati ministeriali leggeranno.

Scuola Italiana. Fotocopie di una burocrazia satanica.

«Come si constata, le sole circolari interne dedicate in un anno al Corpo docente assommano a 477 (quattrocentosettantasette). Ogni tanto sono di semplice e rapida lettura, ma di norma sono lunghette e complesse, con molti rimandi.

Ragionando in termini medi, ogni circolare richiede grosso modo un’ora di tempo tra lettura e tentativi di comprendere cosa dicano.

Questo significa che un usuale Insegnate spende ogni anno circa 500 ore del suo tempo a leggersi e studiarsi circolari sulla utilità delle quali ben si potrebbe argomentare.

Ma un insegnante di liceo scientifico lavora mediamente 1,300 ore all’anno, secondo i dati ministeriali.

In altri termini, ogni insegnante passa più di un terzo del suo tempo lavorativo a leggere circolari.»

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Sorgono spontanee alcune domande.

– Che senso ha investire 80 miliardi ogni anno nella scuola per ottenere poi risultati così sconfortanti?

– Che senso ha utilizzare il comparto scolastico come ammortizzatore sociale di persone che hanno conseguito lauree fuori mercato?

– Cosa si aspetta a ristrutturare deburocratizzando l’intero comparto?

– Una scuola che non seleziona bocciando gli incapaci è solo un opificio di certificati senza valore.

– Lo si è capito o meno che gli studenti di oggi saranno i professori di domani nonché la classe dirigente?

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I ministeriali sono davvero fortunati a vivere in Italia. Fossimo in Cina sarebbero da tempo nel Laogai a meditare che lo stipendio ce lo si deve guadagnar con il sudore della fronte.


Corriere. 2019-07-10. Invalsi 2019, l’Italia divisa in due. Quasi la metà dei maturandi «analfabeta» in matematica

Italiano, uno su tre «bocciato»

E’ un’Italia divisa in due quella che appare dalla fotografia della scuola italiana presentata il 10 luglio dall’Invalsi, l’ente di valutazione del sistema d’Istruzione guidato da Anna Maria Ajello. Con le scuole del Nord che riescono a mantenere un buon livello degli studenti durante tutto il percorso e le scuole di regioni come la Campania, la Calabria e la Sicilia in cui la metà degli studenti arriva alla Maturità con l’insufficienza sia in italiano che in matematica. Per la prima volta quest’anno l’Invalsi ha testato i ragazzi della quinta superiore, quelli che hanno appena affrontato la maturità. Come media nazionale, i risultati delle superiori confermano quelli della terza media: soltanto due studenti su tre posseggono alla fine del percorso le competenze di base richieste dai programmi scolastici: sono il 65,6 % alle medie e il 65,4 % in quinta superiore per quanto riguarda l’italiano.

Emergenza matematica

Va anche peggio per la matematica: se in terza media tre ragazzi su 5 (61,33 per cento) hanno appreso in maniera sufficiente o di più il programma, alla fine delle scuole superiori sono solo il 58,3 per cento quelli che si possono considerare «promossi». Una situazione incredibile che diventa drammatica in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna dove addirittura la situazione è rovesciata: il 60 per cento degli studenti non è sufficiente. «Le cause sono varie – spiega il direttore dell’Invalsi Roberto Ricci – molto dipende dal contesto e dalla situazione socioeconomica familiare. In alcune aree l’impreparazione è tale che è come se un terzo degli studenti non avesse frequentato la scuola: alla fine delle superiori ha conoscenze e competenze della terza media». Nei piccoli centri delle regioni del Sud ancora esistono classi di fatto differenziate per i bravi e gli studenti considerati scarsi.

Il flop dell’inglese

Doccia fredda anche per l’inglese. I programmi ministeriali prevedono che i ragazzi escano dalle scuole superiori con competenze al livello B2 in lettura e comprensione orale, che è un livello avanzato: per quanto riguarda la comprensione orale solo uno studente su tre riesce a raggiungere il livello richiesto. «E’ un problema anche di didattica – spiega Anna Maria Ajello – ma ormai ci sono moltissime risorse facilmente reperibili: aver messo sotto la lente anche l’inglese in questi ultimi due anni ci ha permesso di avere già i primi miglioramenti per esempio alle medie. Questo è un caso in cui la valutazione aiuta a migliorare il curriculum».

La lettura (in inglese)

Sono un po’ più incoraggianti anche se ben lontano dal 77,5 per cento dei ragazzini della terza media che superano il livello A1, i dati sulla lettura in inglese: il 51,8 per cento degli studenti di quinta superiore, cioè uno su due, arriva al livello B2. Ma resta un risultato comunque insoddisfacente.

Nord vs Sud

Si conferma anche per la quinta superiore il divario tra le regioni del Nord nelle quali l’insufficienza grave nelle prove di italiano è quasi fisiologica al di sotto del 10 per cento e quelle del Sud dove sfiora il 20 per cento in Puglia e Molise e supera il 25 in Calabria: «In quest’ultima regione è come se uno studente su quattro non fosse andato a scuola», commenta Ricci.

Italiano, i migliori e i peggiori

I numeri sono inversi se si considerano gli studenti migliori, quelli che hanno i punteggi più alti: sono tra il 15 e il 20 per cento nelle regioni del Nord e sotto il 10 per cento al Sud.

Il tonfo in matematica

Ma il vero problema della scuola superiore in Italia resta la matematica: ci sono regioni come la Calabria, la Campania e la Sicilia dove il 60 per cento dei ragazzi non ha raggiunto le competenze minime richieste dai programmi. Al contrario di regioni come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna e il Friuli Venezia Giulia dove tre studenti su quattro hanno raggiunto gli obiettivi.

Matematica, il divario comincia alle elementari

Occorrerà riflettere sui risultati della matematica e trovare qualche soluzione: il trend degli studenti scarsi comincia dalla quinta elementare e non si arresta più, aumentando anzi il divario.

Pubblicato in: Devoluzione socialismo, Istruzione e Ricerca

Germania. Anche la scuola pubblica è entrata in depressione.

Giuseppe Sandro Mela.

2019-08-24.

Gufo_019__

Un dogma dell’ideologia  liberal  socialista  recita  che  la  scuola  debba  essere  pubblica:  è  un  fatto  che  è  dato semplicemente per scontato.

Diverse sono le motivazioni addotte.

In  primo luogo, si afferma come  l’istruzione sia  un  fondamentale patrimonio della  Collettività, rendendo quindi necessario un intervento dello stato per uniformare al meglio insegnamenti ed insegnanti.

In secondo luogo, si asserisce come lo stato debba avere un controllo diretto della istruzione, selezionando il corpo docente secondo i propri criteri informatori.

In terzo luogo, anche qualora fosse tollerata la presenza di scuole private, lo stato abbia il diritto – dovere di legiferare per esse direttive e normative.

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Da un punto di vista squisitamente euristico, ciò che dovrebbe interessare è che i diplomi rilasciati abbiano tutti ragionevolmente lo stesso identico valore, ossia paragonabili livelli culturali, esattamente come l’accesso alla istruzione sia aperto a facilitato a tutti i giovani Cittadini. Da un punto di vista pratico, dare ai meno abbienti una borsa di studio ovvero esonerarli dal pagare la retta dovrebbe essere equivalente, rendendo preferibile il metodo meno oneroso.

In realtà, al di là delle belle parole altisonanti, lo stato liberal socialista vuole esercitare un potere di controllo politico sia del corpo docente sia dei discenti. Una volta compresa questa esigenza inespressa ma concreta, tutto il problema delle scuole diventa banale.

Si dovrebbe anche notare come, se avesse un senso che scuole omologhe rilasciassero diplomi equipollenti, d’altro canto ciò non dovrebbe implicare la diretta proprietà delle scuole stesse. Ciò che dovrebbe contare dovrebbe essere la garanzia di un comune livello di istruzione.

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Tutto è filato più o meno liscio, a parte il grande attrito nell’impiego delle risorse, fino a tanto che non è entrata in gioco la ideologia liberal socialista. In accordo, nella scuola pubblica è iniziato l’insegnamento della sua etica e morale, da cui il mix di studenti a diversa capacità di apprendimento e di giovani migranti non autoctoni nelle classi che ha determinato un sensibile abbassamento del livello di preparazione finale.

L’immediata risposta è stato un continuo fiorire di scuole private, istituite con il malcelato scopo di sfuggire a codeste imposizioni.

«A politician stated this that many parents are turning away from Germany’s public schools in favour of private ones.»

«Christian Democratic politician Carsten Linnemann caused a stir when he suggested children with inadequate knowledge of German should be held back from starting primary school»

«many middle-income parents “who send their children to private schools because the level at state schools is falling”.»

«It’s true that private school enrollment across Germany is growing, with increasing numbers in nearly every German state»

«But the reasons for parents to enroll their children in such a school – ranging from religious run to experimental education schools like Montessori – varies state by state»

«Within 25 years, the number of privately run schools has almost doubled from around 3,200 to just under 5,850 in Germany»

«According to the latest figures, they account for 14 percent of all schools»

«Private schools are “socially selective and contribute to a social divide,”»

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È una legge universale del mercato che ovunque si manifesti una esigenza fiorisca di conserva l’offerta.

Così come è strutturata, la scuola non provvedere a dare una formazione umana ed una preparazione quale quella richiesta per accedere alle classi sociali e professionali superiori. L’immissione nelle classe dei figli dei migranti e degli handicappati non innalza certo il livello.

A nostro personale avviso però il problema non risiede nel dover porre limitazioni alle scuole private, bensì nell’innalzare il livello di quelle pubbliche.


The Local. 2019-08-10.  State by state: Why private school enrolment across Germany is growing A politician stated this that many parents are turning away from Germany’s public schools in favour of private ones. We look at all of the reasons private schools are growing throughout the country.

At the beginning of the week, Christian Democratic politician Carsten Linnemann caused a stir when he suggested children with inadequate knowledge of German should be held back from starting primary school.

He lamented on the poor performance of many public schools due to the mixed levels of learning.

Linnemann told the Rheinische Post that he sees many middle-income parents “who send their children to private schools because the level at state schools is falling”.

It’s true that private school enrollment across Germany is growing, with increasing numbers in nearly every German state.

But the reasons for parents to enroll their children in such a school – ranging from religious run to experimental education schools like Montessori – varies state by state.

14 percent of all schools

Within 25 years, the number of privately run schools has almost doubled from around 3,200 to just under 5,850 in

Germany. According to the latest figures, they account for 14 percent of all schools.

The growth largely comes from East Germany, where there were practically no private schools before the fall of the

Berlin Wall, explained Nele McElvany, an education researcher from the University of Dortmund.

In almost all federal states, the number of private students has been constant or rising most recently in the school year

2018/19, as a survey by the German Press Agency shows.

“We see continuous growth and increasing popularity,” said Association of German Private Schools spokeswoman

Beate Bahr.

Whether private individuals, foundations or church organizations: anyone can set up a private school.

But there are several conditions that need to be met. According to the VDP, they must be charitable and accessible to everyone, meet criteria and requirements and be approved by the state.

A mixed debate

Yet there remains a mixed reaction about sending children to private school – or if students should stick to state schools.

Private schools are “socially selective and contribute to a social divide,” according to a statement by Germany’s

Education and Science Workers’ Union (GEW).

Pubblicato in: Devoluzione socialismo

Weltanschauung. Prima ci ridevano, adesso si disperano. Scuole ed ospedali.

Giuseppe Sandro Mela.

2019-02-09.

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L’ideologia liberal socialista ha lasciato molti tristi retaggi che hanno fatto e continuano a fare danni grandiosi.

Tra questi si dovrebbe ricordare il concetto dell’essere umano considerato solo come essere economico. Si tratta di una visione squisitamente materialista, ove il comportamento umano sarebbe determinato esclusivamente dal bilancio economico, indipendentemente da ogni altro elemento.

Ma forse il principale mostro è la statolatria. Tutto deve essere sotto il controllo diretto od indiretto dello stato tramite l’opera di uno sterminio di burocrati e funzionari, che regolino il comportamento del Cittadino contribuenti fin sotto le sue lenzuola.

Se è vero che il denaro è una grande leva sull’animo umano, sarebbe altrettanto vero considerare come non sia l’unica e, spesso, sia anche quasi ignorata.

A dispetto di quanto postula l’ideologia liberal socialista, l’essere umano è libero di comportarsi: non può essere racchiuso in un mero sistema deterministico. La libertà non tollera la burocrazia.

Sembrerebbe proprio che l’esperienza della passata Unione Sovietica non sia stata di ammaestramento per alcuno.

Un caso paramount è la totale assenza del concetto di religione nei ragionamenti liberal. Eppure la religione è una leva di primaria importanza per un larghissimo numero di persone. Se sicuramente gran parte delle persone che si dichiarano religiose siano nel contempo scarsamente praticanti, sarebbe pur vero ricordare la forza della tradizione religiosa delle nazioni. Si pensi solo all’importanza del Bible Belt negli Stati Uniti, oppure del cattolicesimo in Polonia. E dopo settanta anni di comunismo ateo positivo, in Russia la religione ortodossa è risorta con una forza gagliarda.

Di questi tempi emergono due esempi, che dovrebbero essere meditati a lungo.

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>> Primo esempio <<

Medici in fuga dall’Italia: «Già 10.000 lavorano all’estero». Il nodo del numero chiuso

«Diecimila medici in dieci anni hanno lasciato l’Italia. E secondo le stime nel 2025 mancheranno 16.500 specialisti. Il governo lavora ad aumentare i posti: «Bisogna far sì che si iscrivano meno di 20 mila, solo i motivati». Ma i tempi sono lunghi»

Concorso deserto, l’ospedale assume medici: non si presenta nessuno

Non si trovano medici, i concorsi dell’Asl vanno deserti: ‘Siamo preoccupati’

Concorsi pubblici: a migliaia o deserti

Matera, cercasi 14 medici: offerti 3mila euro al mese, bandi deserti da un anno

* * *

>> Secondo esempio <<

2019, fuga da scuola: soldi ai prof che non lasciano l’insegnamento

L’iniziativa del governo britannico per fermare l’emorragia di docenti: bonus di 5.000 sterline ai docenti che insegnano per almeno tre anni di fila

Incentivi ai professori se rimangono al loro posto. È questa la strategia lanciata dal governo inglese per cercare di arginare l’emorragia di docenti, di cui la Gran Bretagna soffre ormai da qualche anno. Il numero degli insegnanti che cominciano il percorso di preparazione alla docenza nelle scuole primarie e secondarie è in diminuzione costante da almeno sei anni e a settembre era del 17 per cento inferiore all’anno precedente. Mancano soprattutto i prof di materie tecniche, come ad esempio fisica, chimica e informatica, tanto che spesso in classe arrivano ad insegnare questi argomenti dei professori che hanno altre specializzazioni.

Due prof su tre via da scuola subito dopo l’apprendistato

Qualche anno fa, per cercare di ovviare alla penuria dilagante, il ministero ha lanciato la proposta di offrire una borsa di studio di un anno, pagata oltre 20 mila sterline, ovvero 23mila euro, in modo da rendere la fase di apprendistato appetibile come un lavoro vero e proprio. Una strategia che non ha aumentato poi tanto il numero dei candidati e che soprattutto non è servita a mantenerli nella professione. Dei pochi che iniziano a insegnare, infatti, molti abbandonano in fretta. Secondo le statistiche diffuse dal ministero, tanti neolaureati ottengono la borsa di studio, cominciano ad insegnare e dopo uno o due anni lasciano la carriera. Per il gruppo specializzatosi nel 2012, ad esempio, solo un terzo è rimasto al suo posto, mentre gli altri hanno intrapreso strade diverse. Colpa del carico di lavoro, della burocrazia, delle richieste pressanti da parte del dirigente didattico da un lato e dei genitori dall’altro, che attraverso le email tormentano i prof di sera, nel fine settimana, durante le vacanze e se non ricevono risposte tempestive sono pronti a presentarsi agguerriti dal preside avanzando rimostranze.

Troppo stress, colpa anche delle email dei genitori

Nel Regno Unito la vita di un insegnante ha ritmi frenetici. Si comincia prima delle otto e si finisce tra le 4,30 e le 5,30. La preparazione delle lezioni e la correzione dei test spesso si fanno a casa, fuori dall’orario ufficiale, con un impegno di almeno tre sere la settimana, specie nei primi anni, quando manca ancora l’esperienza. Così bilanciare vita privata e professione diventa complicato e molti non riescono a sostenere la pressione e se ne vanno. Adesso, per evitare che accada, il governo ha pensato di puntare sulla questione economica. D’ora in poi i professori che rimangono nella scuola per tre anni di fila riceveranno un bonus da 5 mila sterline, mentre un altro incentivo dello stesso valore verrà consegnato dopo cinque anni di carriera. Un premio per la continuità, che viene ritenuta fondamentale e va incentivata. Un po’ come accade in Italia, dove però la «fedeltà» a un istituto è sancita per legge e imposta ai neoassunti, senza alcun vantaggio in termini retributivi (anche se per il momento è saltata l’ipotesi di estendere a tutti i gradi di scuola il vincolo di 5 anni nella stessa scuola già in vigore per i docenti delle superiori).

La concorrenza dei privati

Questo incentivo, comunque, non è l’unico asso nella manica del Governo. Lo stipendio infatti è già stato aumentato del 3,5 per cento per molti degli insegnanti. Il salario minimo per chi comincia è di circa 23mila sterline, quasi 27 mila euro, e sale a oltre 28mila sterline (32 mila euro) a Londra, dove la vita è più cara. Certo, un laureato in matematica, scienze e statistica che sceglie la carriera in banca o in azienda, al primo impiego guadagna di più, in media tra le 30 mila e le 40 mila sterline (ovvero da 35 mila fino a 46 mila euro). Una differenza che pesa in termini pratici, anche se formare le nuove generazioni dovrebbe essere un compito appassionante e gratificante di per sé. Indipendentemente dallo stipendio.

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Sia il caso dei medici in Italia sia quello degli insegnanti nel Regno Unito hanno il comun denominatore di essere oberati da una burocrazia statale soffocante, che non prevede una sia pur minima libertà di azione e distoglie dagli obiettivi primari: nel primo caso la cura del paziente, nel secondo l’istruzione degli allievi.

Schiacciati dalla burocrazia, la qualità del lavoro svolto è dedotta dall’estetica dei moduli compilati: che il paziente viva o muoia è solo un dato statistico, che gli studenti imparino o meno diventa fatto irrilevante.

Ma se lavorare in simili condizioni è alienante, c’è ancora di peggio. Le pubbliche amministrazioni partono dal presupposto che gli utenti abbiano sempre ragione, in ciò assecondati dalla giurisprudenza attuale.

Se è vero che in Italia oltre il novanta per cento dei processi intentati ai medici esita in un non luogo a procedere, è altrettanto vero che una denuncia è sufficiente a far perdere il posto. Poi la sentenza arriverà dopo undici anni.

Nella scuola, i genitori, specie quelli di studenti decisamente poco volonterosi, assalgono di continuo gli insegnanti, come se fosse colpa loro se i ragazzi siano insufficienti o decisamente maleducati. Un insegnate accorto te li promuove tutti, così almeno non porge elementi di contenzioso e, soprattutto, se li toglie dinnanzi. Poi, a metterli in riga ci penserà la vita.

In ogni caso, il clima è talmente pesante che ben pochi vogliono intraprendere lunghi cicli di studio per poi finire in quei tritacarne.

Se trovare un anestesista è difficile, trovarne uno che sappia fare il suo mestiere rasenta l’impossibile nel pubblico. Chi vale, se ne va, emigra.

Adesso i concorsi vanno deserti.

Benissimo. Ci mettano un burocrate a fare il neurochirurgo, oppure un qualche programma di AI ad insegnare.

Intanto, il privato prospera a gonfie vele, non tanto per un qualche suo merito, ma se non altro perché funziona senza troppi orpelli. Funzionare regolarmente non è propriamente un merito, bensì solo un dovere.

Il risultato dello statalismo è semplice. Se si è ricchi ci si può curare, se si è ricchi si possono mandare  figli alle scuole private.

E se i miei pronipoti in Germania hanno un regime scolastico quasi militare, i miei figliocci in Cina vivono delle realtà al limite del campo di concentramento: una disciplina ferrea ed una meritocrazia che non ammette eccezioni.

Pubblicato in: Istruzione e Ricerca

Francia. Telefonini proibiti a scuola.

Giuseppe Sandro Mela.

2017-12-12.

Cellulare 004

«France’s education minister announced on Sunday that mobile phones will be banned from schools in France »

*

«the ban, which the government had been mulling for some time, will be implemented in September 2018»

*

«These days the children don’t play at break time anymore, they are just all in front of their smartphones and from an educational point of view that’s a problem»

*

«It’s important that children under the age of seven are not in front of these screens»

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«The ban would be imposed for primary schools and middle schools called “colleges” for pupils aged 11 to 15»

*

«Experts and trade unions have pointed out that using mobile phones in class is already outlawed in France»

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«Some teachers view phones as a source of a distraction and indiscipline which can be used for cyberbullying at school»

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«At our cabinet meetings, we drop our phones in lockers before sitting down together. It seems to me that this should be possible for any human group, including classes»

* * * * * * * * * * * *

Si dovrebbe richiamare l’attenzione sull’ultima frase.

«At our cabinet meetings, we drop our phones in lockers before sitting down together.»

I ragazzi dovrebbero andare a scuola per imparare, ossia per stare, e ben attenti, a seguire le lezioni.

Si impara ascoltando, non parlando. Le interruzioni servono solo a distrarsi, a far perdere il filo del discorso.

Se è vero che in Occidente si proclama il diritto alla istruzione, anche a spese pubbliche, sarebbe altrettanto vero asserire che tale diritto è acquisito nel momento in cui si faccia tutto il possibile per imparare.

Nota.

Provatevi ad entrare con il cellulare acceso in una riunione di cda: sarebbe l’ultima volta che vi partecipate.

Provatevi ad entrare con il cellulare acceso in una classe cinese. Quando l’ospedale vi avrà dimesso, potrete raccontarci cosa è successo.

È impossibile meditare nel frastuono e nel chiasso: ma chi non pensa nella solitudine del suo cervello alla fine non ha proprio nulla da dire.


The Local. 2017-12-11. France to ban mobile phones in schools

France’s education minister announced on Sunday that mobile phones will be banned from schools in France.

*

Jean-Michel Blanquer confirmed that the ban, which the government had been mulling for some time, will be implemented in September 2018.

Phones are already banned in the classrooms in France but from September next year, pupils will be barred from taking them out at breaks, lunch times and between lessons.

“These days the children don’t play at break time anymore, they are just all in front of their smartphones and from an educational point of view that’s a problem,” said Blanquer.

But it is not clear how the ban would work. There are suggestions that schools will have to provide lockers where pupils can keep the phones. Teachers also fear they will be asked to search pupils to make sure no one is flouting the ban.

“We are currently working on this [ban] and it could work in various ways,” said Blanquer. “Phones may be needed for teaching purposes or in cases of emergency so mobile phones will have to be locked away.”

For the education minister the issue of mobile phones and tablets is a matter of “public health”.

“It’s important that children under the age of seven are not in front of these screens,” he added.

The minister also sees the move as a way of cutting down on cyber-bullying.

The ban would be imposed for primary schools and middle schools called “colleges” for pupils aged 11 to 15, but phones would be allowed in Lycee high schools.

French president Emmanuel Macron, a 39-year-old centrist, put banishing mobile phones from all primary and secondary schools in his manifesto ahead of his election victory in May.

Experts and trade unions have pointed out that using mobile phones in class is already outlawed in France, even though research shows that many pupils confess to having broken the rules.

Some teachers view phones as a source of a distraction and indiscipline which can be used for cyberbullying at school, while others believe they can be harnessed for educational purposes — under strict control.

One of the biggest groups representing parents of French school children, known as Peep, said previously it was sceptical that a ban could be implemented.

“We don’t think it’s possible at the moment,” said the head of Peep, Gerard Pommier.

“Imagine a secondary school with 600 pupils. Are they going to put all their phones in a box? How do you store them? And give them back at the end?”

In an interview with Express magazine earlier this year, Blanquer suggested that pupils might be asked to deposit their phones in secure boxes when arriving at school or for classes.

“At our cabinet meetings, we drop our phones in lockers before sitting down together. It seems to me that this should be possible for any human group, including classes,” he said.

Pubblicato in: Devoluzione socialismo

Scuola Italiana. Fotocopie di una burocrazia satanica.

Giuseppe Sandro Mela.

2017-08-29.

2017-08-30__Pacinotti__001

Nessuno venga mai più a parlar male del Minculpop o dell’Unione Sovietica: erano miti agnellini dal cuore tenero e cortese. La burocrazia della Ddr era solo ai primordi.

*

Il Liceo Pacinotti di La Spezia è stato selezionato quale esempio delle scuole italiane per diversi motivi: i suoi ex-alunni riescono molto bene all’università e poi nel lavoro, ha un corpo docente preparato e motivato, come alunni prende quel che passa il convento, ma dopo cinque anni riesce ad ottenere risultati encomiabili. Non solo: si è dotato di un sistema informatico del tutto ragionevole ed il programma di accesso è stato studiato per facilitare l’utente.

Non osiamo pensare quali sarebbero le sue potenzialità inespresse se Preside e Docenti fossero lasciati liberi di lavorare in santa pace.

Se non li tormenta satana in persone, sicuramente ci pensa l’arcidiavolo incubo di tutti noi: la burocrazia. La nemica giurata della gente e di quanti cerchino di lavorare.

Come è noto, l’anno scolastico nel licei inizia il 1° settembre. A tale data scade la numerazione pregressa di documenti e ne inizia una nuova.

Eccovi allora le fotocopie di due paginate: quella delle circolari interne destinate al corpo docente e quella delle circolari interne dedicate agli Ata. Non riportiamo quelle relative alle circolari ministeriali solo per motivo di spazio: sono più numerose delle stelle in cielo. Proprio non ci sarebbero state.

2017-08-30__Pacinotti__002

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Come si constata, le sole circolari interne dedicate in un anno al Corpo docente assommano a 477 (quattrocentosettantasette). Ogni tanto sono di semplice e rapida lettura, ma di norma sono lunghette e complesse, con molti rimandi.

Ragionando in termini medi, ogni circolare richiede grosso modo un’ora di tempo tra lettura e tentativi di comprendere cosa dicano.

Questo significa che un usuale Insegnate spende ogni anno circa 500 ore del suo tempo a leggersi e studiarsi circolari sulla utilità delle quali ben si potrebbe argomentare.

Ma un insegnante di liceo scientifico lavora mediamente 1,300 ore all’anno, secondo i dati ministeriali.

In altri termini, ogni insegnante passa più di un terzo del suo tempo lavorativo a leggere circolari.

Se poi si volesse considerare il tempo dedicato all’applicazione delle medesime, si arriverebbe ad un monte ore da gridare vendetta a Dio ed agli uomini.

*

La burocrazia uccide più della baionetta. Il terrorismo ministeriale è ben peggio della peste nera. Ora pensate a quale livello qualitativo si potrebbe arrivare se gli Insegnanti potessero dedicare 500 ore all’anno ad aggiornarsi, oppure a svolgere qualche compito complementare. Non servirebbe nessuna nuova legge: solo deburocratizzare.

Nota.

Il Liceo Pacinotti di La Spezia è uno dei venti Istituti ammessi al Progetto che è stato realizzato grazie alla concessione dei Fondi Strutturali Europei – Programma Operativo Nazionale “Per la scuola, competenze e ambienti per l’apprendimento” 2014-2020, che il Liceo si è aggiudicato partecipando a regolare Bando di Concorso nel settore “Asse II Infrastrutture per l’istruzione – Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (Fesr) – Obiettivo specifico – 10.8 – “Diffusione della società della conoscenza nel mondo della scuola e della formazione e adozione di approcci didattici innovativi” – Azione 10.8.1 – Interventi infrastrutturali per l’innovazione tecnologica, laboratori di settore e per l’apprendimento delle competenze chiave” (Codice progetto 10.8.1.A2–FESRPON-LI-2015-28; Importo assegnato € 7.500,00)