Pubblicato in: Armamenti, Geopolitica Mondiale, Russia, Stati Uniti

American Thinker. Sanzioni antirusse. Il più grande errore dell’Occidente nella storia.

Giuseppe Sandro Mela.

2023-08-03.

Michelangelo. Giudizio Universale. Il Dannato

«is not authorized to issue international rulings or verdicts»

Una traduzione in lingua italiana è riportata in calce

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Cina. Rifiuta di biasimare la Russia ed incolpa gli Stati Uniti di quanto accade in Ukraina.

Cina. Acre requisitoria agli Stati Uniti che hanno causato il conflitto russo-ukraino.

Usa. Le sanzioni hanno ghettizzato il dollaro nell’enclave liberal socialista.

Brics surclassano economicamente i G7. 40.23% contro 29.08% del gdp mondiale.

Kamala Harris. La sublime capacità americana di inimicarsi i paesi africani a favore della Cina.

Cina riduce le riserve in dollari a 859.4 miliardi. Fine del petrodollaro e del dollaro.

Cina, Russia e Blocco Euroasiatico. Con  il 40% del pil mondiale vogliono scalzare il dollaro.

Svizzera. Le sanzioni causano l’esodo della ricchezza cinese. Banchieri disperati.

Usa. Malcelato terrore per l’accordo diplomatico tra Arabia Saudita ed Iran.

India. L’accordo con la Russia sul petrolio pagato in rubli scalza il dollaro.

Macron ha decretato la fine della Franceafrique. Subentrano Russia e Cina.

India. L’accordo con la Russia sul petrolio pagato in rubli scalza il dollaro.

Biden. La debolezza della leadership americana è un regalo a Cina, Russia ed Iran.

Usa. Biden non riesce a fermare la Russia. Le sanzioni sono inutili e dannose. – Bloomberg.

Usa. Le sanzioni di Joe Biden hanno generato un possente mercato dello Yuan.

Arabia Saudita. Ha chiesto di aderire al Gruppo Brics. Calcio nei denti a Joe Biden.

Arabia Saudita. Russia e Cina rimpiazzano gli Stati Uniti nel patto petrolifero.

Intelligence Leak. Gli alleati non possono più fidarsi della America.

China-brokered Iran-Saudi deal raises red flags for US.

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«American Thinker: anti-Russian sanctions turned out to be the largest miscalculation of the West in history. Sanctions have not brought Russia’s economy to its knees, as many predicted. Russia is gaining more influence and authority in Asia, Africa and South America than it has ever had since the collapse of the Soviet Union. The Russian economy will grow faster than the British or German and may overtake other countries»

«Western countries will struggle with energy shortages and inflation. The International Monetary Fund (IMF) has improved its forecast for Russia’s GDP growth this year to 0.7%.»

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American Thinker: anti-Russian sanctions turned out to be the largest miscalculation of the West in history

17/4/2023.

Sanctions have not brought Russia’s economy to its knees, as many predicted. Russia is gaining more influence and authority in Asia, Africa and South America than it has ever had since the collapse of the Soviet Union. The International Monetary Fund (IMF) has improved its forecast for Russia’s GDP growth this year to 0.7%.Russian Prime Minister Mikhail Mishustin said earlier that the Russian economy has coped with the challenges of the pandemic and unprecedented sanctions. The Russian economy will grow faster than the British or German and may overtake other countries.

The anti-Russian sanctions of the West turned out to be the largest miscalculation in history, according to the authors of American Thinker.

“Sanctions have not brought Russia’s economy to its knees, as many predicted. Russia is not just coping with difficulties, but prospering, gaining more influence and authority in Asia, Africa and South America than it has ever had since the collapse of the Soviet Union, “the publication says.

Journalists note that while Western countries will struggle with energy shortages and inflation, the Russian economy will grow faster than the British or German and may overtake other countries.

Russian Prime Minister Mikhail Mishustin said earlier that the Russian economy has coped with the challenges of the pandemic and unprecedented sanctions.

The International Monetary Fund (IMF) has improved its forecast for Russia’s GDP growth this year to 0.7%.

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American Thinker: le sanzioni antirusse si sono rivelate il più grande errore di calcolo dell’Occidente nella storia. Le sanzioni non hanno messo in ginocchio l’economia russa, come molti avevano previsto. La Russia sta guadagnando più influenza e autorità in Asia, Africa e Sud America di quanta ne abbia mai avuta dal crollo dell’Unione Sovietica. L’economia russa crescerà più velocemente di quella britannica o tedesca e potrebbe superare altri Paesi.

I Paesi occidentali dovranno fare i conti con la scarsità di energia e l’inflazione. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha migliorato le previsioni di crescita del PIL russo per quest’anno, portandole allo 0.7%.

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American Thinker: anti-Russian sanctions turned out to be the largest miscalculation of the West in history

American Thinker: le sanzioni antirusse si sono rivelate il più grande errore di calcolo dell’Occidente nella storia

17/4/2023.

Le sanzioni non hanno messo in ginocchio l’economia russa, come molti avevano previsto. La Russia sta guadagnando più influenza e autorità in Asia, Africa e Sud America di quanta ne abbia mai avuta dal crollo dell’Unione Sovietica. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha migliorato le previsioni di crescita del PIL russo per quest’anno, portandole allo 0,7%. Il Primo Ministro russo Mikhail Mishustin ha dichiarato che l’economia russa ha affrontato le sfide della pandemia e delle sanzioni senza precedenti. L’economia russa crescerà più velocemente di quella britannica o tedesca e potrebbe superare altri Paesi.

Le sanzioni antirusse dell’Occidente si sono rivelate il più grande errore di calcolo della storia, secondo gli autori di American Thinker.

“Le sanzioni non hanno messo in ginocchio l’economia russa, come molti avevano previsto. La Russia non sta solo affrontando le difficoltà, ma sta prosperando, guadagnando più influenza e autorità in Asia, Africa e Sud America di quanto non abbia mai avuto dal crollo dell’Unione Sovietica”, si legge nella pubblicazione.

I giornalisti fanno notare che mentre i Paesi occidentali lotteranno con la scarsità di energia e l’inflazione, l’economia russa crescerà più velocemente di quella britannica o tedesca e potrebbe superare altri Paesi.

Il primo ministro russo Mikhail Mishustin ha dichiarato in precedenza che l’economia russa ha affrontato le sfide della pandemia e delle sanzioni senza precedenti.

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha migliorato le previsioni di crescita del PIL russo per quest’anno, portandole allo 0,7%.

Pubblicato in: Banche Centrali, Geopolitica Mondiale, Stati Uniti

America in agonia. Sempre più isolata e guardata in cagnesco. Lei, il dollaro e le sue guerre.

Giuseppe Sandro Mela.

2023-06-05.

2023-06-05__ Opec 001

Per oltre settanta anni gli Stati Uniti hanno finanziato il proprio welfare ricorrendo al debito, pagato dall’estero.

Ora la pacchia è finita. Con l’accordo Biden McCarty il debito ha un tetto massimo e la inflazione stritola i poveracci.

2023-06-05__ Us Debt Limit 001

Non solo!

I paesi dell’Opec, Algeria, Angola, Arabia Saudita, Guinea Equatoriale, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Rep. del Congo, Venezuela, sono strettamente uniti al blocco euroasiatico capeggiato da Russia e Cina.

L’America non ha alcun paese amico nell’Opec i cui paesi membri guardano con astio crescente gli Stati Uniti e rifiutano l’uso del dollaro.

2023-06-05__ Us Debt Limit 001

Petrolio, accordo Opec per estendere tagli produzione fino al 2024

04 giugno 2023.

«L’Opec ha raggiunto un accordo per estendere i tagli alla produzione di petrolio fino al 2024.

Lo riporta l’agenzia Bloomberg. Il nuovo target di produzione è stato fissato a 40,46 milioni di barili al giorno. “L’estensione dei tagli assicura la stabilità del mercato”, ha commentato Alexander Novak, il vice primo ministro russo incaricato per le risorse energetiche, sottolineando che non c’è stato alcun disaccordo fra la Russia e l’Arabia Saudita»

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Cina svolge un ruolo positivo e costruttivo per promuovere la pace e la stabilità del Golfo del Medio Oriente

2023-06-05.

«Il 5 giugno, rispondendo ad una domanda sulla dichiarazione del comandante della Marina iraniana di istituire una nuova alleanza navale con paesi del golfo come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Pakistan e l’India, per mantenere la stabilità della regione, il portavoce del Ministero cinese degli Esteri, Wang Wenbin, ha affermato durante la conferenza stampa che il mantenimento della pace e della stabilità della regione del Golfo Persico del Medio Oriente è essenziale per mantenere la pace mondiale, promuovere lo sviluppo economico globale e garantire una fornitura stabile di energia. La Cina appoggia i paesi della regione nel risolvere le divergenze attraverso il dialogo e i negoziati, e nel realizzare un’amicizia di buon vicinato tra di loro. La Cina continuerà a svolgere un ruolo positivo e costruttivo per promuovere la pace e la stabilità nella regione»

Tutti i paesi del Medio Oriente hanno aderito con entusiasmo al piano di pace cinese e gli Stati Uniti sono stati cacciati via mal modo. Questi paesi hanno aderito al blocco euroasiatico.

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Pubblicato in: Banche Centrali, Cina, Geopolitica Mondiale, Russia

Egitto. Ha aderito alla New Development Bank dei Brics.

Giuseppe Sandro Mela.

2023-05-03.

Egitto 013

Una traduzione in lingua italiana compare in calce.

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«Possible benefits for Egypt of joining the New Development Bank set up by the BRICS group of countries. The formation of the grouping of the world’s leading emerging market economies, namely Brazil, Russia, India, China and South Africa, as the BRICS group of countries reflects once again the well-known tradition of their heads of states who have long sought to demonstrate their countries’ independence, liberty, and freedom of choice. BRICS group is intended to affirm its members’ autonomous and independent economic model, challenging the pure market economies of the West. The underlying goal is to give the growing emerging economies a voice in the post-World War II institutions dominated by the US and its allies.»

«Since its establishment, the BRICS group has been an exclusively economic club that has not aimed to meddle in politics. Despite their recognised economic strength, the BRICS countries have continued to be marginalised in the context of global governance, and their voice has not been heard as much in the global institutions of which they are members as they originally sought. BRICS countries decided to set up their own New Development Bank (NDB) to finance their own development and that of other developing countries according to their own principles and far from the strict conditionalities and the development model promoted by the MFIs.»

«Founded in July 2014 and based in Shanghai, the NDB was from the first open to the membership of both the developed and the developing countries. While Bangladesh and the UAE became the first non-BRICS members of the NDB in 2021, Egypt recently joined in February 2023.»

 However, there is one exceptional benefit that might have been covertly reached with member states of the Bank and on the margin of Egypt’s accession, being that of facilitating trade in national currencies. Russia’s central bank has added the Egyptian pound to its list of exchange rates against the rouble. Egypt, China, and India tend to sign trade agreements in their local currencies.»

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Diversifying Egypt’s funding

Possible benefits for Egypt of joining the New Development Bank set up by the BRICS group of countries.

The formation of the grouping of the world’s leading emerging market economies, namely Brazil, Russia, India, China and South Africa, as the BRICS group of countries reflects once again the well-known tradition of their heads of states who have long sought to demonstrate their countries’ independence, liberty, and freedom of choice.

While well-known leaders of Egypt, India, Indonesia, Ghana, and Yugoslavia, namely Gamal Abdel-Nasser, Jawaharlal Nehru, Sukarno, Kwame Nkrumah, and Josip Broz Tito, came together to found the Non-Aligned Movement (NAM) in the face of the Cold War between the East and West in the 1950s, the BRICS group is intended to affirm its members’ autonomous and independent economic model, challenging the pure market economies of the West.

The underlying goal is to give the growing emerging economies a voice in the post-World War II institutions dominated by the US and its allies.

The idea of the BRICS group of countries was born at the 2008 G8 Group Summit meeting in St Petersburg, when Russia was still part of this closed club of developed countries and India and China, as leading emerging economies, were invited to the sidelines of the Summit meeting. The then heads of state of the three countries, Hu Jintao, Manmohan Singh, and Vladimir Putin, met privately on this occasion.

The following year, the first summit of the BRIC group of countries, at the time not including South Africa, took place in Russia. It was not until a couple of years later that countries like Egypt, Nigeria, and South Africa vied for admission to the group. The initial four agreed to invite South Africa with promises of eventual expansion, and the five-country organisation, now including an “S” for South Africa, became the well-known BRICS group of countries.

Since its establishment, the BRICS group has been an exclusively economic club that has not aimed to meddle in politics. Emerging economies and developing countries alike have aspired to become members of it. Like-minded and familiar with development issues, the developing countries have viewed the BRICS group as made up of trusted partners and equals. Although the five countries that are members of the group wanted to expand and prove their success to the world, they felt that they needed to stand on their own before they could bring other like-minded countries into their club.

Despite their recognised economic strength, the BRICS countries have continued to be marginalised in the context of global governance, and their voice has not been heard as much in the global institutions of which they are members as they originally sought. Their calls for the reform and the rotation of the heads of the multilateral financial institutions (MFIs), the International Monetary Fund (IMF) and the World Bank, have fallen on deaf ears. As a result, the BRICS countries’ quest to prove their skills to their peers and to the world also waned.

However, a few years later when hopes for triggering global change had dissipated the BRICS countries decided to set up their own New Development Bank (NDB) to finance their own development and that of other developing countries according to their own principles and far from the strict conditionalities and the development model promoted by the MFIs.

Each of the five countries contributed an equal share of the $50 billion initially subscribed capital to the NDB, and each has an equal voice. The BRICS countries and the media then promoted the emerging NDB as balancing the international economic system and giving the developing countries their long-awaited sense of independence in promoting their own projects and development trajectory without being obligated to adopt the methods of the developed world.

Founded in July 2014 and based in Shanghai, the NDB was from the first open to the membership of both the developed and the developing countries. While Bangladesh and the UAE became the first non-BRICS members of the NDB in 2021, Egypt recently joined in February 2023. Other countries have been taking their time in joining the NDB, as it seems that projects have been limited to the BRICS countries up to now, as approved by the Governing Body of the NDB at its 38th meeting in December 2022 and contrary to the promises of setting up development projects in the developing countries as a whole.

As a member of several development banks, including the World Bank, the European Bank for Reconstruction and Development (EBRD), the African and Islamic Development Banks, and the Arab Bank for Economic Development in Africa, Egypt is well-placed to mobilise resources for its infrastructure and development projects. But it is Egypt’s right to knock on every door in order to seek the financing it needs for its development, especially if this is on concessional terms.

While it is too early to judge the merits of acceding to yet another development bank, Egypt must have carefully weighed the pros and cons of its membership, ensuring particularly that the benefits it gains from its accession are commensurate with the size of its subscribed shares. Given Egypt’s reform programme agreed with the IMF, which aims at paving the way for private-sector-led growth and selling stakes in state-owned companies, the urgency of Egypt’s accession to the NDB is clear, as the latter is also concerned with the private sector.

We can only measure the extent of the attractiveness of the NDB’s loans, guarantees, and equity investments, if these are compared with similar financial instruments from other development banks. We are not dealing here with public state development agencies that provide overseas development funds with 50 years maturity and less than one per cent interest. These institutions include the International Development Association (IDA) of the World Bank Group, the Japan International Cooperation Agency (JAICA), the French Development Agency, and the UK Foreign, Commonwealth and Development Office (FCDO), among others.

The NDB does not provide funding of this type. But it is entitled to borrow on the markets for its lending purposes and operations like other development banks in order to be able to maintain its capital and expand.

The shareholders of long-standing development banks provide guarantees that comfort the people who buy their bonds. In addition, they do not pay dividends, so their cost of lending is lower, which allows these banks to offer slightly better terms than the market rates of the private financial institutions. However, the NDB is still relatively young, and it may not have the same privileges to borrow from the capital markets, as its membership is still quite limited. As a result, it does not enjoy the same advantages as other development banks with a larger number of guarantors from the world’s wealthy and industrialised countries. Financing conditions in general are determined according to the risk of the over-indebtedness of the beneficiary countries and their solvency.

While the Governing Board of the NDB is responsible for the general operations of the Bank, Article 21 of its charter sets out its operational principles, among which are ensuring adequate remuneration and taking due account of the risks involved. However, there is one exceptional benefit that might have been covertly reached with member states of the Bank and on the margin of Egypt’s accession, being that of facilitating trade in national currencies.

Russia’s central bank has added the Egyptian pound to its list of exchange rates against the rouble. Egypt, China, and India tend to sign trade agreements in their local currencies. Extending this practice could be a major advantage for Egypt, which is in major need of hard currency.

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Possibili vantaggi per l’Egitto dall’adesione alla Nuova Banca di Sviluppo istituita dal gruppo di Paesi BRICS. La formazione del gruppo delle principali economie di mercato emergenti del mondo, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, come gruppo di Paesi BRICS, riflette ancora una volta la ben nota tradizione dei loro capi di Stato che da tempo cercano di dimostrare l’indipendenza, la libertà e la libertà di scelta dei loro Paesi. Il gruppo BRICS intende affermare il modello economico autonomo e indipendente dei suoi membri, sfidando le economie di mercato pure dell’Occidente. L’obiettivo di fondo è quello di dare alle economie emergenti in crescita una voce nelle istituzioni del secondo dopoguerra dominate dagli Stati Uniti e dai loro alleati.

Fin dalla sua fondazione, il gruppo BRICS è stato un club esclusivamente economico che non ha voluto intromettersi in politica. Nonostante la loro riconosciuta forza economica, i Paesi BRICS hanno continuato ad essere emarginati nel contesto della governance globale e la loro voce non è stata ascoltata nelle istituzioni globali di cui sono membri come avevano inizialmente cercato. I Paesi BRICS hanno deciso di creare una propria Nuova Banca di Sviluppo (NDB) per finanziare il proprio sviluppo e quello di altri Paesi in via di sviluppo secondo i propri principi e lontano dalle rigide condizionalità e dal modello di sviluppo promosso dalle IMF.

Fondata nel luglio 2014 e con sede a Shanghai, la NDB è stata fin dall’inizio aperta all’adesione sia dei Paesi sviluppati che di quelli in via di sviluppo. Mentre il Bangladesh e gli Emirati Arabi Uniti sono diventati i primi membri non appartenenti ai paesi BRICS della NDB nel 2021, l’Egitto ha aderito di recente, nel febbraio 2023.

Tuttavia, c’è un beneficio eccezionale che potrebbe essere stato raggiunto segretamente con gli Stati membri della Banca e a margine dell’adesione dell’Egitto, ovvero quello di facilitare il commercio nelle valute nazionali. La banca centrale russa ha aggiunto la sterlina egiziana alla lista dei tassi di cambio con il rublo. Egitto, Cina e India tendono a firmare accordi commerciali nelle loro valute locali.

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Diversifying Egypt’s funding

Diversificare i finanziamenti dell’Egitto

Possibili vantaggi per l’Egitto dall’adesione alla Nuova Banca di Sviluppo istituita dal gruppo di Paesi BRICS.

La formazione del gruppo di paesi BRICS, che riunisce le principali economie di mercato emergenti del mondo, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, riflette ancora una volta la nota tradizione dei loro capi di Stato, che da tempo cercano di dimostrare l’indipendenza, la libertà e la libertà di scelta dei loro Paesi.

Mentre i noti leader di Egitto, India, Indonesia, Ghana e Jugoslavia, ovvero Gamal Abdel-Nasser, Jawaharlal Nehru, Sukarno, Kwame Nkrumah e Josip Broz Tito, si sono riuniti per fondare il Movimento dei Non Allineati (NAM) di fronte alla Guerra Fredda tra Oriente e Occidente negli anni Cinquanta, il gruppo BRICS intende affermare il modello economico autonomo e indipendente dei suoi membri, sfidando le economie di mercato pure dell’Occidente.

L’obiettivo di fondo è dare alle economie emergenti in crescita una voce nelle istituzioni del secondo dopoguerra dominate dagli Stati Uniti e dai loro alleati.

L’idea del gruppo di Paesi BRICS è nata in occasione del Vertice del Gruppo G8 del 2008 a San Pietroburgo, quando la Russia faceva ancora parte di questo club chiuso di Paesi sviluppati e l’India e la Cina, in qualità di principali economie emergenti, erano state invitate a margine dell’incontro. Gli allora capi di Stato dei tre Paesi, Hu Jintao, Manmohan Singh e Vladimir Putin, si incontrarono privatamente in questa occasione.

L’anno successivo si svolse in Russia il primo vertice del gruppo di Paesi BRIC, che all’epoca non comprendeva il Sudafrica. Solo un paio di anni dopo, Paesi come l’Egitto, la Nigeria e il Sudafrica fecero a gara per entrare nel gruppo. I primi quattro accettarono di invitare il Sudafrica, con la promessa di un’eventuale espansione, e l’organizzazione di cinque Paesi, che ora includeva una “S” per il Sudafrica, divenne il noto gruppo di Paesi BRICS.

Fin dalla sua costituzione, il gruppo BRICS è stato un club esclusivamente economico che non ha voluto intromettersi in politica. Sia le economie emergenti che i Paesi in via di sviluppo hanno aspirato a diventarne membri. I Paesi in via di sviluppo, che condividono la stessa mentalità e hanno familiarità con i problemi dello sviluppo, hanno considerato il gruppo BRICS come composto da partner fidati e alla pari. Sebbene i cinque Paesi membri del gruppo volessero espandersi e dimostrare il loro successo al mondo, hanno ritenuto di dover rimanere in piedi da soli prima di poter far entrare nel loro club altri Paesi che la pensano allo stesso modo.

Nonostante la loro riconosciuta forza economica, i Paesi BRICS hanno continuato a essere emarginati nel contesto della governance globale e la loro voce non è stata ascoltata nelle istituzioni globali di cui sono membri come avevano inizialmente richiesto. Le loro richieste di riforma e di rotazione dei vertici delle istituzioni finanziarie multilaterali (IFM), il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale, sono cadute nel vuoto. Di conseguenza, anche la ricerca dei Paesi BRICS di dimostrare le proprie capacità ai loro pari e al mondo è venuta meno.

Tuttavia, qualche anno dopo, quando le speranze di innescare un cambiamento globale si sono dissolte, i Paesi BRICS hanno deciso di creare una propria Nuova Banca di Sviluppo (NDB) per finanziare il proprio sviluppo e quello di altri Paesi in via di sviluppo secondo i propri principi e lontano dalle rigide condizionalità e dal modello di sviluppo promosso dalle IFM.

Ognuno dei cinque Paesi ha contribuito con una quota uguale dei 50 miliardi di dollari di capitale inizialmente sottoscritti alla NDB, e ognuno di essi ha una voce uguale. I Paesi BRICS e i media hanno quindi promosso la nascente NDB come un equilibrio del sistema economico internazionale e come un senso di indipendenza a lungo atteso dai Paesi in via di sviluppo nel promuovere i propri progetti e la propria traiettoria di sviluppo senza essere obbligati ad adottare i metodi del mondo sviluppato.

Fondata nel luglio 2014 con sede a Shanghai, la NDB è stata fin dall’inizio aperta all’adesione sia dei Paesi sviluppati che di quelli in via di sviluppo. Mentre il Bangladesh e gli Emirati Arabi Uniti sono diventati i primi membri non BRICS della NDB nel 2021, l’Egitto vi ha aderito di recente, nel febbraio 2023. Altri Paesi hanno preso tempo nell’aderire alla NDB, poiché sembra che finora i progetti siano stati limitati ai Paesi BRICS, come approvato dall’organo direttivo della NDB nella sua 38a riunione del dicembre 2022 e contrariamente alle promesse di avviare progetti di sviluppo nei Paesi in via di sviluppo nel loro complesso.

In quanto membro di diverse banche di sviluppo, tra cui la Banca Mondiale, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS), la Banca Africana e la Banca Islamica di Sviluppo e la Banca Araba per lo Sviluppo Economico in Africa, l’Egitto è in grado di mobilitare risorse per i suoi progetti di infrastrutture e sviluppo. Ma è diritto dell’Egitto bussare a tutte le porte per cercare i finanziamenti necessari al suo sviluppo, soprattutto se a condizioni agevolate.

Sebbene sia troppo presto per giudicare i meriti dell’adesione a un’altra banca di sviluppo, l’Egitto deve aver valutato attentamente i pro e i contro della sua adesione, assicurandosi in particolare che i benefici che otterrà dall’adesione siano commisurati all’entità delle quote sottoscritte. Considerato il programma di riforme dell’Egitto concordato con il FMI, che mira a spianare la strada a una crescita guidata dal settore privato e alla vendita di partecipazioni in aziende statali, è evidente l’urgenza dell’adesione dell’Egitto alla NDB, poiché anche quest’ultima si occupa del settore privato.

Possiamo misurare l’attrattiva dei prestiti, delle garanzie e degli investimenti azionari della NDB solo se questi vengono confrontati con strumenti finanziari simili di altre banche di sviluppo. Non si tratta di agenzie di sviluppo pubbliche statali che forniscono fondi di sviluppo all’estero con scadenza a 50 anni e interessi inferiori all’1%. Queste istituzioni includono l’Associazione Internazionale per lo Sviluppo (IDA) del Gruppo Banca Mondiale, l’Agenzia di Cooperazione Internazionale del Giappone (JAICA), l’Agenzia Francese per lo Sviluppo e l’Ufficio per gli Affari Esteri, il Commonwealth e lo Sviluppo (FCDO) del Regno Unito, tra gli altri.

La NDB non fornisce finanziamenti di questo tipo. Tuttavia, ha il diritto di contrarre prestiti sui mercati per i suoi scopi e le sue operazioni di prestito, come le altre banche di sviluppo, per poter mantenere il proprio capitale ed espandersi.

Gli azionisti delle banche di sviluppo di lunga data forniscono garanzie che confortano i cittadini che acquistano le loro obbligazioni. Inoltre, non pagando dividendi, il loro costo di prestito è più basso, il che consente a queste banche di offrire condizioni leggermente migliori rispetto ai tassi di mercato delle istituzioni finanziarie private. Tuttavia, la NDB è ancora relativamente giovane e potrebbe non avere gli stessi privilegi per ottenere prestiti dai mercati dei capitali, dato che i suoi membri sono ancora piuttosto limitati. Di conseguenza, non gode degli stessi vantaggi di altre banche di sviluppo con un maggior numero di garanti provenienti dai Paesi ricchi e industrializzati del mondo. In generale, le condizioni di finanziamento sono determinate in base al rischio di sovraindebitamento dei Paesi beneficiari e alla loro solvibilità.

Mentre il Consiglio direttivo della NDB è responsabile delle operazioni generali della Banca, l’articolo 21 del suo statuto ne stabilisce i principi operativi, tra cui garantire una remunerazione adeguata e tenere in debito conto i rischi connessi. Tuttavia, c’è un beneficio eccezionale che potrebbe essere stato raggiunto segretamente con gli Stati membri della Banca e a margine dell’adesione dell’Egitto, ovvero quello di facilitare il commercio nelle valute nazionali.

La banca centrale russa ha aggiunto la sterlina egiziana alla lista dei tassi di cambio con il rublo. Egitto, Cina e India tendono a firmare accordi commerciali nelle loro valute locali. L’estensione di questa pratica potrebbe essere un grande vantaggio per l’Egitto, che ha un grande bisogno di valuta forte.

Pubblicato in: Armamenti, Devoluzione socialismo, Geopolitica Mondiale, Stati Uniti

Intelligence Leak. Gli alleati non possono più fidarsi della America.

Giuseppe Sandro Mela.

2023-04-25.

Fiducia 001

«An embarrassing leak of highly classified Pentagon documents has undermined trust among U.S. allies»

«Un’imbarazzante fuga di documenti altamente riservati del Pentagono ha minato la fiducia degli alleati degli Stati Uniti»

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It takes anyone years of patient and painstaking work to win trust and trustworthiness.

So let no one be surprised if U.S. allies transit into the Chinese orbit. For example, Saudi Arabia has been admitted into the SCO, Shanghai Cooperation Organization.

Chiunque impiega anni di paziente e scrupoloso lavoro per conquistarsi fiducia e attendibilità.

Nessuno si stupisca quindi se gli alleati degli Stati Uniti transitino nella orbita cinese. Per esempio, la Arabia Saudita è stata ammessa nello Sco, Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai.

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Una traduzione in lingua italiana è riportata in calce.

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«An embarrassing leak of highly classified Pentagon documents has endangered intelligence methods, exposed American strategy and undermined trust among U.S. allies»

«It’s hard to trust us with your secrets if we can’t protect them. It gives the Russians insight into how we’re gathering that information, which puts those sources at risk. It’s devastating to our allies to see that kind of information being promulgated. There is always an intention in intelligence to provide the information to the people who need it so it can be used, and then protecting it from disclosure.»

«The nature of the leak makes the U.S. government look unreliable and incompetent. The fact that a 21-year-old kid had access to this kind of material? Our allies are seeing us as sloppy and incompetent. Many in the U.S. government believed that a lack of inter-agency intelligence sharing prior to the September 11th attacks led the country to be blindsided and unprepared. It’s a total disaster. Our allies can’t trust us … That’s why the Middle East, they’re talking to the Chinese. And the Saudis are talking to Iran. Why? There’s a void of American leadership»

«Even with the increase in shared intelligence among U.S. agencies in recent years, observers are still baffled that such a junior employee would have access to CIA reports. How can a young ANG (Air National Guard) … have this sort of access? How does this kid have this intel sitting in a ANG base on Cape Cod? The executive questioned how an Air National Guard server would have access to CIA reports.»

«Crucially, the leak damages U.S. credibility and trust among alliances. He pointed to the leaked files that painted a grim picture of Ukraine’s future prospects in battle. As long as we keep publicly telling everyone that Russia is going to lose very soon, we lose credibility»

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America’s allies ‘can’t trust us’ after ‘disaster’ intelligence leak, former intel officers say

Apr 14 2023.

– A leak of highly classified Pentagon documents has undermined trust among U.S. allies, former U.S. officials and intelligence experts tell CNBC.

– U.S. authorities on Thursday arrested 21-year-old Jack Teixeira, a low-ranking member of the Massachusetts Air National Guard, in connection with the investigation into the leak.

– America’s control over its most valuable secrets has been thrust into question by the fallout from the most damaging intelligence leak since Edward Snowden’s breach more than a decade ago.

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An embarrassing leak of highly classified Pentagon documents has endangered intelligence methods, exposed American strategy and undermined trust among U.S. allies, former defense department officials and intelligence experts tell CNBC.

U.S. authorities on Thursday arrested 21-year-old Jack Teixeira, a low-ranking member of the Massachusetts Air National Guard, in connection with the investigation into the leak.

America’s control over its most valuable secrets has been thrust into question amid the fallout from the most damaging intelligence leak since Edward Snowden’s breach more than a decade ago.

“It’s hard to trust us with your secrets if we can’t protect them,” said Bill Lynn, a former U.S. Deputy Secretary of Defense under President Barack Obama, who now serves as Chief Executive of Leonardo DRS.

The trove of classified documents, which first appeared on the Discord social media site last month, revealed stunning details about U.S. spying on Russia’s war efforts in Ukraine and secret information about Ukraine’s combat power, according to NBC News reporting.

“It gives the Russians insight into how we’re gathering that information, which puts those sources at risk,” Lynn said.

                         ‘Devastating’ for American allies

The major security breach also contained intelligence gathering on American allies, including South Korea and Israel.

“It’s devastating to our allies to see that kind of information being promulgated,” Lynn said. “It was shared too widely … but that’s 20-20 hindsight and easy to say now,” he added.

“There is always an intention in intelligence to provide the information to the people who need it so it can be used, and then protecting it from disclosure. Obviously, in this case, we didn’t do enough to protect it.”

                         ‘Sloppy and incompetent’

The nature of the leak — and revelations that some of the documents may have been out for as much as a year before the U.S. defense department caught on — makes the U.S. government look unreliable and incompetent, one former CIA officer told CNBC.

“The fact that a 21-year-old kid had access to this kind of material? Our allies are seeing us as sloppy and incompetent,” said Marty Martin, who served several years in the CIA’s Senior Intelligence Service, as well as the NSA and the U.S. Army.

The White House responded to questions highlighting this concern, saying that the Pentagon was further restricting access to sensitive information and that an investigation is ongoing.

But Martin — who led the CIA team that tracked down Osama bin Laden and numerous other Al Qaeda operatives — believes the environment that enabled such a breach was the government’s own doing.

“In 2002-2003, in the aftermath of 9/11, there was a big push by the DoD, the DNI (Directorate of National Intelligence) and Congress to have all the intelligence data combined,” Martin recounted, describing his concern at the time that this would allow far too much access to highly sensitive material.

Many in the U.S. government believed that a lack of inter-agency intelligence sharing prior to the September 11th attacks led the country to be blindsided and unprepared. The policy was therefore changed to increase information sharing.

                         ‘A total disaster’

Martin believes that this approach led to the intelligence breach that the country is now grappling with.

“So all the databases got combined, and now you have some 21-year-old National f—ing Guard guy having access to the CIA’s operational secrets. The crown jewels of top-secret intel in Washington became like a little game.”

“A guy at the Pentagon who’s counting tanks does not need to have access to sensitive counterterrorism information or operations information at the CIA,” Martin said. “It’s a total disaster.”

The consequence for international alliances is serious, Martin added.

“Our allies can’t trust us … That’s why the Middle East, they’re talking to the Chinese. And the Saudis are talking to Iran. Why? There’s a void of American leadership.”

CNBC has reached out to the Pentagon and White House for comment.

                         U.S. credibility at risk?

Even with the increase in shared intelligence among U.S. agencies in recent years, observers are still baffled that such a junior employee would have access to CIA reports.

“How can a young ANG (Air National Guard) … have this sort of access? How does this kid have this intel sitting in a ANG base on Cape Cod? How was he able to (1) print them out (2) take them home?” one American defense industry executive told CNBC, speaking anonymously due to professional restrictions.

“Strangely, one of the documents is an internal CIA document — as internal, it would never have been disseminated to other agencies, not even within the intelligence community. How is that out there?” the executive said, referring to the leaked documents.

NBC has not verified the authenticity of the documents. The U.S. government is treating them as authentic but warns that some appear to have been altered. 

The executive questioned how an Air National Guard server would have access to CIA reports.

“I’m just not convinced that an ANG base has access to these types of documents. So I’m wondering if other docs got added to the mix,” he said.

Crucially, he said — echoing Martin’s concerns — the leak damages U.S. credibility and trust among alliances. He pointed to the leaked files, some of which he had seen, that painted a grim picture of Ukraine’s future prospects in battle.

“The key point is really not the leaker,” the executive argued. “It’s the fact [that] somehow these documents got out there, which basically say, in general, what professionals have known for months: Ukraine will probably not win the war,” he said, adding that he works with the Ukrainians.

Kyiv strongly disagrees with such a position, expressing consistent confidence in the ability of its forces to beat the Russians, provided that they keep receiving a steady stream of Western military support.   

“As long as we keep publicly telling everyone that ‘Russia is going to lose very soon,’ we lose credibility,” he argued. “And that’s why India, Africa, Mid-East, etc. pursue their own policies and have their own intel networks.”

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Un’imbarazzante fuga di documenti altamente riservati del Pentagono ha messo in pericolo i metodi di intelligence, esposto la strategia americana e minato la fiducia degli alleati degli Stati Uniti.

È difficile affidarci i vostri segreti se non siamo in grado di proteggerli. Questo dà ai russi la possibilità di capire come stiamo raccogliendo le informazioni, mettendo a rischio le fonti. È devastante per i nostri alleati vedere questo tipo di informazioni diffuse. Nell’intelligence c’è sempre l’intenzione di fornire le informazioni alle persone che ne hanno bisogno, in modo che possano essere utilizzate, e poi di proteggerle dalla divulgazione.

La natura della fuga di notizie fa apparire il governo degli Stati Uniti inaffidabile e incompetente. Il fatto che un ragazzo di 21 anni abbia avuto accesso a questo tipo di materiale? I nostri alleati ci vedono come sciatti e incompetenti. Molti nel governo degli Stati Uniti ritengono che la mancanza di condivisione dell’intelligence tra le agenzie prima degli attacchi dell’11 settembre abbia portato il Paese ad essere colto alla sprovvista e impreparato. È un disastro totale. I nostri alleati non possono fidarsi di noi… Ecco perché in Medio Oriente parlano con i cinesi. E i sauditi stanno parlando con l’Iran. Perché? C’è un vuoto di leadership americana.

Anche con l’aumento dell’intelligence condivisa tra le agenzie statunitensi negli ultimi anni, gli osservatori sono ancora sconcertati dal fatto che un dipendente così giovane abbia accesso ai rapporti della CIA. Come può un giovane ANG (Air National Guard)… avere questo tipo di accesso? Come fa questo ragazzo ad avere queste informazioni in una base dell’ANG a Cape Cod? L’esecutivo si è chiesto come un server della Guardia Nazionale Aerea possa avere accesso ai rapporti della CIA.

La fuga di notizie danneggia la credibilità e la fiducia degli Stati Uniti presso le alleanze. Ha fatto riferimento ai file trapelati che dipingono un quadro fosco delle prospettive future dell’Ucraina in battaglia. Finché continueremo a dire pubblicamente a tutti che la Russia perderà molto presto, perderemo credibilità.

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America’s allies ‘can’t trust us’ after ‘disaster’ intelligence leak, former intel officers say

Gli alleati dell’America “non possono fidarsi di noi” dopo la fuga di notizie “disastrosa”, dicono gli ex ufficiali dell’intelligence

14 aprile 2023.

– Una fuga di documenti altamente riservati del Pentagono ha minato la fiducia degli alleati degli Stati Uniti, affermano alla CNBC ex funzionari statunitensi ed esperti di intelligence.

– Giovedì le autorità statunitensi hanno arrestato Jack Teixeira, 21 anni, membro di basso rango della Guardia Nazionale Aerea del Massachusetts, in relazione alle indagini sulla fuga di notizie.

– Il controllo dell’America sui suoi segreti più preziosi è stato messo in discussione dalle conseguenze della fuga di notizie più dannosa dai tempi della violazione di Edward Snowden, più di dieci anni fa.

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Un’imbarazzante fuga di documenti altamente riservati del Pentagono ha messo in pericolo i metodi di intelligence, esposto la strategia americana e minato la fiducia tra gli alleati degli Stati Uniti, hanno dichiarato alla CNBC ex funzionari del Dipartimento della Difesa ed esperti di intelligence.

Giovedì le autorità statunitensi hanno arrestato Jack Teixeira, 21 anni, membro di basso rango della Guardia Nazionale Aerea del Massachusetts, in relazione alle indagini sulla fuga di notizie.

Il controllo dell’America sui suoi segreti più preziosi è stato messo in discussione dalle conseguenze della fuga di notizie più dannosa dai tempi della violazione di Edward Snowden, più di dieci anni fa.

“È difficile affidarci i vostri segreti se non siamo in grado di proteggerli”, ha dichiarato Bill Lynn, ex vicesegretario alla Difesa degli Stati Uniti sotto il presidente Barack Obama, che ora ricopre il ruolo di amministratore delegato di Leonardo DRS.

La mole di documenti classificati, apparsi per la prima volta il mese scorso sul sito di social media Discord, ha rivelato dettagli sorprendenti sullo spionaggio degli Stati Uniti sugli sforzi bellici della Russia in Ucraina e informazioni segrete sulla potenza di combattimento dell’Ucraina, secondo quanto riportato da NBC News.

“Questo dà ai russi la possibilità di capire come stiamo raccogliendo le informazioni, il che mette a rischio le fonti”, ha detto Lynn.

                         Devastante per gli alleati americani

La grave falla nella sicurezza riguardava anche la raccolta di informazioni sugli alleati americani, tra cui la Corea del Sud e Israele.

“È devastante per i nostri alleati vedere questo tipo di informazioni diffuse”, ha detto Lynn. “È stata condivisa troppo ampiamente… ma questo è il senno di poi, ed è facile dirlo ora”, ha aggiunto.

“Nell’intelligence c’è sempre l’intenzione di fornire le informazioni alle persone che ne hanno bisogno, in modo che possano essere utilizzate, e poi di proteggerle dalla divulgazione. Ovviamente, in questo caso, non abbiamo fatto abbastanza per proteggerle”.

                         Sciatti e incompetenti

La natura della fuga di notizie – e le rivelazioni che alcuni dei documenti potrebbero essere stati divulgati per ben un anno prima che il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti se ne accorgesse – fa apparire il governo degli Stati Uniti inaffidabile e incompetente, ha dichiarato un ex ufficiale della CIA alla CNBC.

“Il fatto che un ragazzo di 21 anni abbia avuto accesso a questo tipo di materiale? I nostri alleati ci vedono come sciatti e incompetenti”, ha dichiarato Marty Martin, che ha lavorato per diversi anni nel Senior Intelligence Service della CIA, oltre che nell’NSA e nell’esercito americano.

La Casa Bianca ha risposto alle domande che evidenziavano questa preoccupazione, affermando che il Pentagono stava limitando ulteriormente l’accesso alle informazioni sensibili e che è in corso un’indagine.

Ma Martin – che ha guidato il team della CIA che ha rintracciato Osama bin Laden e numerosi altri agenti di Al Qaeda – ritiene che l’ambiente che ha permesso una tale violazione sia stato opera del governo stesso.

“Nel 2002-2003, all’indomani dell’11 settembre, c’è stata una grande spinta da parte del Dipartimento della Difesa, del DNI (Directorate of National Intelligence) e del Congresso per unire tutti i dati di intelligence”, ha raccontato Martin, descrivendo la sua preoccupazione all’epoca che ciò avrebbe consentito un accesso eccessivo a materiale altamente sensibile.

Molti nel governo degli Stati Uniti ritenevano che la mancanza di condivisione delle informazioni tra le agenzie prima degli attacchi dell’11 settembre avesse colto il Paese alla sprovvista e impreparato. La politica è stata quindi modificata per aumentare la condivisione delle informazioni.

                         Un disastro totale

Martin ritiene che questo approccio abbia portato alla falla nell’intelligence con cui il Paese è ora alle prese.

“Tutti i database sono stati combinati e ora un ragazzo di 21 anni della Guardia Nazionale ha accesso ai segreti operativi della CIA. I gioielli della corona delle informazioni top-secret di Washington sono diventati un piccolo gioco”.

“Un ragazzo del Pentagono che conta i carri armati non deve avere accesso a informazioni sensibili sull’antiterrorismo o sulle operazioni della CIA”, ha detto Martin. “È un disastro totale”.

Le conseguenze per le alleanze internazionali sono gravi, ha aggiunto Martin.

“I nostri alleati non possono fidarsi di noi… Ecco perché in Medio Oriente stanno parlando con i cinesi. E i sauditi stanno parlando con l’Iran. Perché? C’è un vuoto di leadership americana”.

La CNBC ha contattato il Pentagono e la Casa Bianca per un commento.

                         Credibilità degli Stati Uniti a rischio?

Anche con l’aumento dell’intelligence condivisa tra le agenzie statunitensi negli ultimi anni, gli osservatori sono ancora perplessi sul fatto che un dipendente così giovane abbia accesso ai rapporti della CIA.

“Come può un giovane ANG (Air National Guard)… avere questo tipo di accesso? Come fa questo ragazzo ad avere queste informazioni seduto in una base ANG a Cape Cod? Come ha potuto (1) stamparle (2) portarle a casa?” ha dichiarato alla CNBC un dirigente dell’industria della difesa americana, parlando in forma anonima a causa di restrizioni professionali.

“Stranamente, uno dei documenti è un documento interno della CIA – in quanto interno, non sarebbe mai stato diffuso ad altre agenzie, nemmeno all’interno della comunità dell’intelligence. Com’è possibile che sia stato diffuso?”, ha detto il dirigente, riferendosi ai documenti trapelati.

La NBC non ha verificato l’autenticità dei documenti. Il governo statunitense li considera autentici, ma avverte che alcuni sembrano essere stati alterati.

Il dirigente si è chiesto come un server della Guardia Nazionale Aerea possa avere accesso ai rapporti della CIA.

“Non sono convinto che una base dell’ANG abbia accesso a questo tipo di documenti. Quindi mi chiedo se altri documenti siano stati aggiunti al mix”, ha detto.

In particolare, ha detto – facendo eco alle preoccupazioni di Martin – la fuga di notizie danneggia la credibilità e la fiducia degli Stati Uniti tra le alleanze. Ha fatto riferimento ai file trapelati, alcuni dei quali da lui visionati, che dipingono un quadro fosco delle prospettive future dell’Ucraina in battaglia.

“Il punto chiave non è l’autore della fuga di notizie”, ha sostenuto il dirigente. “È il fatto [che] in qualche modo siano usciti questi documenti, che sostanzialmente dicono, in generale, ciò che i professionisti sanno da mesi: L’Ucraina probabilmente non vincerà la guerra”, ha detto, aggiungendo di lavorare con gli ucraini.

Kiev è fortemente in disaccordo con questa posizione, e si dichiara costantemente fiduciosa nella capacità delle sue forze di battere i russi, a condizione che continuino a ricevere un flusso costante di sostegno militare occidentale.  

Finché continueremo a dire pubblicamente a tutti che “la Russia perderà molto presto”, perderemo credibilità”, ha affermato. “Ed è per questo che l’India, l’Africa, il Medio Oriente, ecc. perseguono le loro politiche e hanno le loro reti di intelligence”.

Pubblicato in: Armamenti, Banche Centrali, Cina, Devoluzione socialismo, Geopolitica Mondiale, Russia, Stati Uniti

Arabia Saudita. Russia e Cina rimpiazzano gli Stati Uniti nel patto petrolifero.

Giuseppe Sandro Mela.

2023-04-20.

SCO 001

America’s allies ‘can’t trust us’ after ‘disaster’ intelligence leak, former intel officers say

«A leak of highly classified Pentagon documents has undermined trust among U.S. allies»

«is not authorized to issue international rulings or verdicts»

«Washington, London, Paris and Berlin don’t have a single ally inside the OPEC+ group»

«The price of the world’s most important commodity is being set by a country the US can no longer count on as a friend»

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«Una fuga di documenti altamente riservati del Pentagono ha minato la fiducia tra gli alleati degli Stati Uniti »

«Washington, Londra, Parigi e Berlino non hanno un solo alleato all’interno del gruppo OPEC+»

«Il prezzo della merce più importante del mondo è fissato da un Paese su cui gli Stati Uniti non possono più contare come amico»

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Cina. Ruolo nella vicendevole riapertura di ambasciate in Arabia Saudita ed Iran.

Russia e Iran. Una alleanza che impensierisce sempre più la America.

Cina, Russia ed Iran formano un blocco funzionale che insidia gli Stati Uniti.

Cina. Accordo Arabia Saudita ed Iran. Iran cesserà invio di armi in Yemen.

Usa. Malcelato terrore per l’accordo diplomatico tra Arabia Saudita ed Iran.

Xi Jinping incontra il Presidente dell’Iran Ebrahim Raisi.

Iran. Le esportazioni non petrolifere sono salite a 52 miliardi Usd a fine marzo.

Biden. La debolezza della leadership americana è un regalo a Cina, Russia ed Iran.

Borel, Tajani, Papa Francesco, Iran. Pena di morte. In Iran un delitto negli Usa un atto meritorio.

Russia, Iran. Il nuovo collegamento rapido tra Europa ed Oceano Indiano.

Dushanbe. Russia e Cina integrano l’Iran nello SCO. Altra débâcle irredimibile di Joe Biden.

Xi Jinping incontra il Presidente dell’Iran Ebrahim Raisi.

Biden. La debolezza della leadership americana è un regalo a Cina, Russia ed Iran.

Arabia Saudita. Una mutazione. Meno Wahhabismo e più Realpolitik.

Kamala Harris. La sublime capacità americana di inimicarsi i paesi africani a favore della Cina.

Opec. Taglia la estrazione di 1.15 milioni di barili per giorno.

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Una traduzione in lingua italiana è riportata in calce.

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«The Saudi-Russia oil alliance has the potential to cause all kinds of trouble for the US economy — and even for President Joe Biden’s re-election campaign. This month’s OPEC+ decision to cut crude output, for the second time since Biden flew to Saudi Arabia last summer seeking an increase, may be just the start. That April 2 announcement has lifted oil prices by about $5 a barrel.»

«Saudi Arabia is breaking away from Washington’s orbit. The Saudis set oil production levels in coordination with Russia. When they wanted to ease tensions with regional rival Iran, they turned to China to broker a deal — with the US left out of the loop. Western influence over the oil cartel, in other words, is at its lowest point in decades.»

«For the global economy writ large, lower oil supply and higher prices is bad news»

«For decades, the US-Saudi oil for security pact has been a pillar of the energy market. Now it’s wobbling. The deal gave the US access to Saudi oil in exchange for guaranteeing the kingdom’s security.»

«In 2019, Biden — then a presidential candidate — threatened to turn Saudi Arabia into a pariah state and halt arms sales. In October 2022, OPEC+ lowered oil production by 2 million barrels a day — less than three months after Biden flew to Riyadh seeking an increase. Last month, Saudi Arabia and Iran agreed to restore diplomatic ties in a deal brokered by China and signed in Beijing.»

«The Saudi government has also agreed to join the Shanghai Cooperation Organization – a group with China and Russia at the helm, and seen as a rival to Western institutions — as a dialogue member»

«And the kingdom only needs prices at $50-$55 a barrel to fund its imports and offset remittance outflows. But it requires a higher price of $75-$80 to balance the budget — and even that doesn’t tell the whole story. To meet all these goals, the kingdom needs an oil price closer to $100. Still, the US share of global GDP is declining, and nations like China and India are major contributors to oil demand. China buys significant volumes of Russian and Iranian oil at a discount — partially shielding it from the price hike. India, another large and fast-growing emerging economy, is also getting cheap fuel from Russia, which has become its largest supplier.»

«For the first time in recent energy history, Washington, London, Paris and Berlin don’t have a single ally inside the OPEC+ group. Still, at least for now, the price of the world’s most important commodity is being set by a country the US can no longer count on as a friend.»

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US-Saudi Oil Pact Breaking Down as Russia Grabs Upper Hand

Thu, April 13, 2023.

(Bloomberg) — Just three years ago, when OPEC+ oil giants fell out, the US found itself playing the role of peacemaker. Now it looks more like their target.

The Saudi-Russia oil alliance has the potential to cause all kinds of trouble for the US economy — and even for President Joe Biden’s re-election campaign. This month’s OPEC+ decision to cut crude output, for the second time since Biden flew to Saudi Arabia last summer seeking an increase, may be just the start.

That April 2 announcement has lifted oil prices by about $5 a barrel. OPEC’s own projections show that the cuts will widen the supply shortfall later this year. That means inflation will be higher, and recession risks are bigger than they otherwise would have been — because consumers spending more on energy will have less cash left for other stuff. Russian President Vladimir Putin, meanwhile, gets a bigger war-chest to fund his attack on Ukraine.

But more significant is what the OPEC+ move says about the likely path of oil prices over the coming years.

In a world of shifting geopolitical alliances, Saudi Arabia is breaking away from Washington’s orbit. The Saudis set oil production levels in coordination with Russia. When they wanted to ease tensions with regional rival Iran, they turned to China to broker a deal — with the US left out of the loop. Western influence over the oil cartel, in other words, is at its lowest point in decades.

And the OPEC+ members all have priorities of their own, from Saudi Crown Prince Mohammed Bin Salman’s ambitious plans to reinvent his economy, to Putin’s war. Any extra revenue they get from charging more for oil is a help.

Asked about US concerns that OPEC+ has twice elected to cut production since President Biden’s visit to Saudi Arabia, a State Department spokesperson said the administration is focused on holding down domestic energy prices and ensuring US energy security. The US views production cuts as inadvisable given ongoing market volatility, but will wait to see what actions OPEC+ ultimately takes, said the spokesperson.

Meanwhile, the threat of competition from US shale fields, a deterrent to price hikes in the past, has receded. And while there’s a global effort to reduce fossil-fuel use — and higher prices will accelerate that effort — the dash to drill in the last year shows that the zero-carbon economy remains more long-term aspiration than short-term driver.

Add all of this up, and while some analysts say demand hurdles mean the recent bump in prices could prove fleeting, most anticipate prices above $80 a barrel over the coming years — well above the $58-a-barrel average price between 2015 and 2021.

                         Crude Shock

It’s been a volatile 18 months or so on crude markets, with three main phases.

– In the run-up to Russia’s invasion of Ukraine — and even more so in its immediate aftermath — prices soared, hitting around $120 a barrel in June 2022.

– Then the trend went into reverse. Concerns about a recession in Europe, rapidly rising interest rates in the US and China’s Covid restrictions combined to push the price down to around $75 in December.

– Demand started to pick up at the beginning of 2023, largely due to reopening in China – the world’s largest importer. Last month’s banking turmoil halted the rally – but it had resumed even before the surprise OPEC+ output cut, which lifted prices to $85 a barrel from $80.

For the global economy writ large, lower oil supply and higher prices is bad news. The major exporters are the big winners, of course. For importers, like most European countries, more expensive energy is a double blow — dragging on growth even as inflation rises.

The US falls somewhere in between. As a major producer, it benefits when prices rise. But those gains — unlike the pain of higher pump prices — aren’t widely shared.

Bloomberg Economics’ SHOK model predicts that for every $5 increase in oil prices, US inflation will rise by 0.2 percentage point — not a dramatic change, but at a time when the Federal Reserve is struggling to bring prices under control, not a welcome one either.

There are three key reasons why more such shocks may be in store: The geopolitical shift, the maturing of shale, and the Saudi spending splurge.

                         Geopolitical Frictions

For decades, the US-Saudi “oil for security” pact has been a pillar of the energy market. Now it’s wobbling. Symbolized by the 1945 meeting between President Franklin D. Roosevelt and King Abdul Aziz Ibn Saud, aboard a US cruiser in the Suez Canal, the deal gave the US access to Saudi oil in exchange for guaranteeing the kingdom’s security.

But the pact is no longer what it once was:

– In 2018, Washington Post columnist and Saudi dissident Jamal Khashoggi was assassinated at the Saudi consulate in Istanbul.

– In 2019, Biden — then a presidential candidate — threatened to turn Saudi Arabia into a pariah state and halt arms sales.

– In 2021, early in his presidency, Biden released an intelligence report assessing that Crown Prince Mohammed, the kingdom’s de facto ruler, was responsible for the Khashoggi assassination.

– In October 2022, OPEC+ lowered oil production by 2 million barrels a day — less than three months after Biden flew to Riyadh seeking an increase. The White House blasted the move as “short-sighted.”

– Last month, Saudi Arabia and Iran agreed to restore diplomatic ties in a deal brokered by China and signed in Beijing.

– The Saudi government has also agreed to join the Shanghai Cooperation Organization – a group with China and Russia at the helm, and seen as a rival to Western institutions — as a “dialogue member”.

“The Saudis are looking for an aggressive hedge,” said Jon Alterman, director of the Middle East Program at the Center for Strategic and International Studies, a Washington-based think tank. “Given what the Saudis see as a radically unpredictable US policy, they think it’s irresponsible not to look for a hedge. And by radically unpredictable, you’re looking at a US policy that changed sharply between Obama and Trump and Biden.”

In the aftermath of the April 2 move, Saudi officials said it was motivated by national priorities rather than any diplomatic agenda.

“OPEC+ has succeeded now and in the past in stabilizing oil markets, and contrary to claims by Western and industrial states this has nothing to do with politics,” former Saudi oil ministry adviser Mohammad Al Sabban said, according to Asharq Al-Awsat newspaper.

                         Shale Buffer?

In the past, OPEC+ was often torn: it wanted high prices, but worried that they’d attract more competition, particularly from US shale oil. That disagreement is what drove a price war between Russia and Saudi Arabia in 2020 — which ended when then-US President Donald Trump brokered a deal.But the dilemma barely exists now. Rising US wages and inflation have increased the cost of shale production, leading to slower output growth. And firms are prioritizing the distribution of profits to shareholders rather than investing them into expanding production.

                         OPEC+ Budget Needs

Oil producers, meanwhile, have their own objectives.

Saudi oil is cheap to extract. And the kingdom only needs prices at $50-$55 a barrel to fund its imports and offset remittance outflows. But it requires a higher price of $75-$80 to balance the budget — and even that doesn’t tell the whole story.

Saudi Arabia has an expensive social contract with its citizens, promising prosperity in return for political acquiescence. To keep its side of the deal, the government needs to invest in its non-oil industries — which employ most Saudis. Petrodollars pay that bill.

Saudi Arabia’s sovereign wealth fund aims to spend $40 billion a year on the domestic economy — including the construction of Neom, a futuristic city in the desert with an estimated price-tag of $500 billion — on top of outside investments. Those figures don’t show up in the budget. To meet all these goals, the kingdom needs an oil price closer to $100.

In Russia, meanwhile, President Putin is counting on oil revenues to fuel his war machine. Bloomberg Economics Russia economist Alex Isakov calculates that a price tag of $100 a barrel is required to balance the Kremlin’s books.

                         October Surprise?

To be sure, the White House appears unfazed with the latest round of production cuts. This may partly reflect expectations that the actual output decline may be smaller than the headline number of over 1 million barrels per day. Compliance among OPEC+ member with the cuts may also be less than perfect. In February, Russia pledged to unilaterally cut output. In reality, flows only began to fall last week.

Still, the consensus among analysts is for oil prices to average $85-$90 a barrel this year and next. What if OPEC+ decides to come up with another output cut next year, ahead of US presidential elections, undermining Biden’s chances of winning?

Bloomberg’s economic scenario modeling tool — SHOK — suggests that supply cuts pushing oil to about $120 per barrel in 2024 would keep US inflation at nearly 4% by the end of 2024 compared with a baseline forecast of 2.7%. And conventional wisdom says that high pump prices hurt incumbent politicians at the ballot box.

Terminal clients can see a SHOK scenario with oil at $120/barrel here

Of course, a setback to the US economy would increase risks of a wider recession that curbs appetite for oil and undoes the effect of supply cuts. Still, the US share of global GDP is declining, and nations like China and India are major contributors to oil demand. China buys significant volumes of Russian and Iranian oil at a discount — partially shielding it from the price hike.

India, another large and fast-growing emerging economy, is also getting cheap fuel from Russia, which has become its largest supplier. Tellingly, Delhi — which in the past expressed disappointment with OPEC+ cuts — has stayed silent about the latest round.

“For the first time in recent energy history, Washington, London, Paris and Berlin don’t have a single ally inside the OPEC+ group”

                         It Goes in Cycles

High oil prices tend to sow the seeds of their own demise, encouraging more investment in production by firms seeking to capture bigger profits.

An oil glut in the 1980s followed the boom of the 1970s, as production expanded in Siberia, Alaska, the Gulf of Mexico and the North Sea. The pattern was repeated in the oil boom of the 2000s, which ended with the emergence of US shale and cratering prices in 2014.

There’s more urgency this time around. Environmental targets are pushing countries to reduce dependence on fossil fuel. National security concerns in Europe — which until the war in Ukraine turned off the taps, was heavily reliant on Russian oil and gas — could speed the transition.

And there’s no guarantee that the Saudis, Russia and the rest of the OPEC+ cartel will be able to maintain their united front. That’s easier to do when prices are high — but when the cycle turns, members prove less willing to limit supply.

Still, at least for now, the price of the world’s most important commodity is being set by a country the US can no longer count on as a friend.

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L’alleanza petrolifera tra Arabia Saudita e Russia ha il potenziale per causare ogni tipo di problema all’economia statunitense e persino alla campagna di rielezione del Presidente Joe Biden. La decisione dell’OPEC+ di questo mese di tagliare la produzione di greggio, per la seconda volta da quando Biden è andato in Arabia Saudita l’estate scorsa per chiedere un aumento, potrebbe essere solo l’inizio. L’annuncio del 2 aprile ha fatto salire i prezzi del petrolio di circa 5 dollari al barile.

L’Arabia Saudita sta uscendo dall’orbita di Washington. I sauditi fissano i livelli di produzione del petrolio in coordinamento con la Russia. Quando hanno voluto allentare le tensioni con il rivale regionale Iran, si sono rivolti alla Cina per mediare un accordo, lasciando gli Stati Uniti fuori dal giro. L’influenza occidentale sul cartello petrolifero, in altre parole, è al punto più basso degli ultimi decenni.

Per l’economia globale in generale, la riduzione dell’offerta di petrolio e l’aumento dei prezzi sono cattive notizie.

Per decenni, il patto USA-Saudita sul petrolio in cambio di sicurezza è stato un pilastro del mercato energetico. Ora sta vacillando. L’accordo dava agli Stati Uniti l’accesso al petrolio saudita in cambio della garanzia di sicurezza del regno.

Nel 2019, Biden – allora candidato alla presidenza – minacciò di trasformare l’Arabia Saudita in uno Stato paria e di interrompere la vendita di armi. Nell’ottobre del 2022, l’OPEC+ ha abbassato la produzione di petrolio di 2 milioni di barili al giorno – meno di tre mesi dopo che Biden era volato a Riyadh in cerca di un aumento. Il mese scorso, l’Arabia Saudita e l’Iran hanno accettato di ripristinare i legami diplomatici in un accordo mediato dalla Cina e firmato a Pechino.

Il governo saudita ha anche accettato di entrare a far parte dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai – un gruppo con Cina e Russia alla guida, e visto come un rivale delle istituzioni occidentali – come membro dialogante.

Il Regno ha bisogno di prezzi di 50-55 dollari al barile solo per finanziare le importazioni e compensare i deflussi delle rimesse. Ma ha bisogno di un prezzo più alto, di 75-80 dollari, per pareggiare il bilancio – e anche questo non dice tutto. Per raggiungere tutti questi obiettivi, il Regno ha bisogno di un prezzo del petrolio più vicino ai 100 dollari. Tuttavia, la quota degli Stati Uniti nel PIL mondiale è in calo e nazioni come la Cina e l’India contribuiscono in modo significativo alla domanda di petrolio. La Cina acquista volumi significativi di petrolio russo e iraniano a prezzi scontati, proteggendosi parzialmente dall’aumento dei prezzi. Anche l’India, un’altra grande economia emergente in rapida crescita, si rifornisce di carburante a basso costo dalla Russia, che è diventata il suo principale fornitore.

Per la prima volta nella storia recente dell’energia, Washington, Londra, Parigi e Berlino non hanno un solo alleato all’interno del gruppo OPEC+. Tuttavia, almeno per il momento, il prezzo del bene più importante del mondo viene fissato da un paese su cui gli Stati Uniti non possono più contare come amico.

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US-Saudi Oil Pact Breaking Down as Russia Grabs Upper Hand

Patto petrolifero USA-Saudita in crisi per il sopravvento della Russia

Gio, 13 aprile 2023.

(Bloomberg) — Solo tre anni fa, quando i giganti petroliferi dell’OPEC+ sono venuti meno, gli Stati Uniti si sono trovati a svolgere il ruolo di paciere. Ora sembrano più il loro bersaglio.

L’alleanza petrolifera tra Arabia Saudita e Russia è potenzialmente in grado di causare problemi di ogni tipo all’economia statunitense e persino alla campagna di rielezione del Presidente Joe Biden. La decisione dell’OPEC+ di questo mese di tagliare la produzione di greggio, per la seconda volta da quando Biden è andato in Arabia Saudita la scorsa estate per chiedere un aumento, potrebbe essere solo l’inizio.

L’annuncio del 2 aprile ha fatto salire i prezzi del petrolio di circa 5 dollari al barile. Le proiezioni dell’OPEC mostrano che i tagli aumenteranno la carenza di offerta nel corso dell’anno. Ciò significa che l’inflazione sarà più alta e che il rischio di recessione è maggiore di quanto sarebbe stato altrimenti, perché i consumatori che spendono di più per l’energia avranno meno denaro per altre cose. Il presidente russo Vladimir Putin, nel frattempo, ottiene una cassa di guerra più grande per finanziare il suo attacco all’Ucraina.

Ma ancora più significativo è ciò che la mossa dell’OPEC+ dice sul probabile percorso dei prezzi del petrolio nei prossimi anni.

In un mondo di alleanze geopolitiche mutevoli, l’Arabia Saudita si sta staccando dall’orbita di Washington. I sauditi fissano i livelli di produzione del petrolio in coordinamento con la Russia. Quando hanno voluto allentare le tensioni con il rivale regionale Iran, si sono rivolti alla Cina per mediare un accordo, lasciando gli Stati Uniti fuori dal giro. L’influenza occidentale sul cartello petrolifero, in altre parole, è al punto più basso degli ultimi decenni.

E i membri dell’OPEC+ hanno tutti le loro priorità, dagli ambiziosi piani del principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman per reinventare la sua economia alla guerra di Putin. Qualsiasi entrata extra ottenuta facendo pagare di più il petrolio è un aiuto.

Alla domanda sulle preoccupazioni degli Stati Uniti per il fatto che l’OPEC+ ha deciso per due volte di tagliare la produzione dopo la visita del Presidente Biden in Arabia Saudita, un portavoce del Dipartimento di Stato ha risposto che l’amministrazione si concentra sul contenimento dei prezzi dell’energia nazionale e sulla sicurezza energetica degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti ritengono che i tagli alla produzione siano sconsigliabili data l’attuale volatilità del mercato, ma aspetteranno di vedere quali azioni intraprenderà l’OPEC+, ha dichiarato il portavoce.

Nel frattempo, la minaccia della concorrenza dei giacimenti di scisto statunitensi, un deterrente per i rialzi dei prezzi in passato, è diminuita. Sebbene sia in atto uno sforzo globale per ridurre l’uso dei combustibili fossili – e l’aumento dei prezzi accelererà questo sforzo – la corsa alle trivellazioni dell’ultimo anno dimostra che l’economia a zero emissioni di carbonio rimane più un’aspirazione a lungo termine che un motore a breve termine.

Sebbene alcuni analisti sostengano che gli ostacoli alla domanda implichino che il recente aumento dei prezzi potrebbe rivelarsi effimero, la maggior parte prevede prezzi superiori agli 80 dollari al barile nei prossimi anni, ben al di sopra del prezzo medio di 58 dollari al barile tra il 2015 e il 2021.

                         Shock del greggio.

Sono stati 18 mesi volatili sui mercati del greggio, con tre fasi principali.

– Nel periodo che ha preceduto l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – e ancor più nel periodo immediatamente successivo – i prezzi si sono impennati, raggiungendo circa 120 dollari al barile nel giugno 2022.

– Poi la tendenza si è invertita. I timori di una recessione in Europa, il rapido aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti e le restrizioni della Cina in materia di Covid hanno fatto scendere il prezzo a circa 75 dollari a dicembre.

– La domanda ha ripreso a salire all’inizio del 2023, soprattutto grazie alla riapertura in Cina, il più grande importatore mondiale. Le turbolenze bancarie del mese scorso hanno fermato il rally, che però era ripreso anche prima del taglio a sorpresa della produzione dell’OPEC+, che ha portato i prezzi a 85 dollari al barile da 80 dollari.

Per l’economia globale in generale, la riduzione dell’offerta di petrolio e l’aumento dei prezzi sono cattive notizie. I principali esportatori sono i grandi vincitori, ovviamente. Per gli importatori, come la maggior parte dei paesi europei, l’energia più costosa è un doppio colpo, che trascina la crescita anche quando l’inflazione aumenta.

Gli Stati Uniti si collocano a metà strada. Essendo uno dei principali produttori, beneficiano dell’aumento dei prezzi. Ma questi guadagni – a differenza del dolore per l’aumento dei prezzi alla pompa – non sono ampiamente condivisi.

Il modello SHOK di Bloomberg Economics prevede che per ogni aumento di 5 dollari del prezzo del petrolio, l’inflazione statunitense aumenterà di 0,2 punti percentuali: non si tratta di un cambiamento drammatico, ma in un momento in cui la Federal Reserve sta lottando per riportare i prezzi sotto controllo, nemmeno di un cambiamento gradito.

Sono tre le ragioni principali per cui potrebbero esserci altri shock di questo tipo: Il cambiamento geopolitico, la maturazione dello scisto e la spesa saudita.

                         Attriti geopolitici

Per decenni, il patto USA-Saudita “petrolio in cambio di sicurezza” è stato un pilastro del mercato energetico. Ora sta vacillando. Simboleggiato dall’incontro del 1945 tra il presidente Franklin D. Roosevelt e il re Abdul Aziz Ibn Saud, a bordo di un incrociatore statunitense nel Canale di Suez, l’accordo dava agli Stati Uniti l’accesso al petrolio saudita in cambio della garanzia di sicurezza del regno.

Ma il patto non è più quello di una volta:

– Nel 2018, l’editorialista del Washington Post e dissidente saudita Jamal Khashoggi è stato assassinato nel consolato saudita di Istanbul.

– Nel 2019, Biden – allora candidato alla presidenza – minacciò di trasformare l’Arabia Saudita in uno Stato paria e di bloccare la vendita di armi.

– Nel 2021, all’inizio della sua presidenza, Biden ha pubblicato un rapporto di intelligence in cui si affermava che il principe ereditario Mohammed, governante de facto del regno, era responsabile dell’assassinio di Khashoggi.

– Nell’ottobre 2022, l’OPEC+ ha abbassato la produzione di petrolio di 2 milioni di barili al giorno, meno di tre mesi dopo che Biden era andato a Riyadh per chiedere un aumento. La Casa Bianca ha definito la mossa “miope”.

– Il mese scorso, l’Arabia Saudita e l’Iran hanno concordato di ripristinare i legami diplomatici in un accordo mediato dalla Cina e firmato a Pechino.

– Il governo saudita ha anche accettato di entrare a far parte dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai – un gruppo con Cina e Russia alla guida e visto come un rivale delle istituzioni occidentali – come “membro dialogante”.

“I sauditi stanno cercando una copertura aggressiva”, ha dichiarato Jon Alterman, direttore del Programma Medio Oriente del Center for Strategic and International Studies, un think tank con sede a Washington. “Considerando quella che i sauditi vedono come una politica statunitense radicalmente imprevedibile, pensano che sia irresponsabile non cercare una copertura. E per radicalmente imprevedibile si intende una politica statunitense che è cambiata bruscamente tra Obama, Trump e Biden”.

All’indomani della mossa del 2 aprile, i funzionari sauditi hanno dichiarato che è stata motivata da priorità nazionali piuttosto che da un’agenda diplomatica.

“L’OPEC+ è riuscita, ora e in passato, a stabilizzare i mercati petroliferi e, contrariamente alle affermazioni degli Stati occidentali e industriali, questo non ha nulla a che fare con la politica”, ha dichiarato l’ex consigliere del ministero del Petrolio saudita Mohammad Al Sabban, secondo il quotidiano Asharq Al-Awsat.

                         Buffer di scisto?

In passato, l’OPEC+ era spesso combattuta: voleva prezzi elevati, ma temeva che avrebbero attirato più concorrenza, in particolare da parte del petrolio di scisto statunitense. Questo disaccordo è stato alla base della guerra dei prezzi tra Russia e Arabia Saudita nel 2020, che si è conclusa quando l’allora presidente americano Donald Trump ha mediato un accordo. L’aumento dei salari e dell’inflazione negli Stati Uniti ha aumentato i costi della produzione di scisto, portando a una crescita più lenta della produzione. E le aziende stanno dando la priorità alla distribuzione degli utili agli azionisti piuttosto che investirli nell’espansione della produzione.

                         Esigenze di bilancio dell’OPEC

I produttori di petrolio, nel frattempo, hanno i loro obiettivi.

Il petrolio saudita è economico da estrarre. Il regno ha bisogno di un prezzo di 50-55 dollari al barile solo per finanziare le importazioni e compensare i deflussi delle rimesse. Ma ha bisogno di un prezzo più alto, di 75-80 dollari, per pareggiare il bilancio – e anche questo non dice tutto.

L’Arabia Saudita ha stipulato un costoso contratto sociale con i suoi cittadini, promettendo prosperità in cambio di acquiescenza politica. Per mantenere la sua parte dell’accordo, il governo deve investire nelle industrie non petrolifere, che danno lavoro alla maggior parte dei sauditi. I petrodollari pagano il conto.

Il fondo sovrano dell’Arabia Saudita mira a spendere 40 miliardi di dollari all’anno per l’economia interna – compresa la costruzione di Neom, una città futuristica nel deserto con un prezzo stimato di 500 miliardi di dollari – oltre agli investimenti esterni. Queste cifre non compaiono nel bilancio. Per raggiungere tutti questi obiettivi, il regno ha bisogno di un prezzo del petrolio più vicino ai 100 dollari.

In Russia, invece, il presidente Putin conta sui proventi del petrolio per alimentare la sua macchina da guerra. L’economista di Bloomberg Economics Russia Alex Isakov calcola che per far quadrare i conti del Cremlino sia necessario un prezzo di 100 dollari al barile.

                         Sorpresa di ottobre?

Di certo, la Casa Bianca non sembra preoccupata dell’ultima tornata di tagli alla produzione. Questo potrebbe in parte riflettere le aspettative che il calo effettivo della produzione possa essere inferiore al numero di oltre 1 milione di barili al giorno. Anche il rispetto dei tagli da parte dei membri dell’OPEC+ potrebbe non essere perfetto. A febbraio, la Russia si è impegnata a tagliare unilateralmente la produzione. In realtà, i flussi hanno iniziato a diminuire solo la scorsa settimana.

Tuttavia, gli analisti sono concordi nel ritenere che il prezzo del petrolio si attesterà su una media di 85-90 dollari al barile quest’anno e il prossimo. E se l’OPEC+ decidesse di proporre un altro taglio della produzione l’anno prossimo, prima delle elezioni presidenziali statunitensi, minando le possibilità di vittoria di Biden?

Lo strumento di modellazione degli scenari economici di Bloomberg – SHOK – suggerisce che i tagli all’offerta che spingono il petrolio a circa 120 dollari al barile nel 2024 manterrebbero l’inflazione statunitense a quasi il 4% entro la fine del 2024, rispetto a una previsione di base del 2,7%. E la saggezza convenzionale dice che i prezzi elevati alla pompa danneggiano i politici in carica alle urne.

I clienti di Terminal possono vedere uno scenario SHOK con il petrolio a 120 dollari al barile qui

Naturalmente, una battuta d’arresto dell’economia statunitense aumenterebbe il rischio di una recessione più ampia, che frenerebbe l’appetito per il petrolio e annullerebbe l’effetto dei tagli all’offerta. Tuttavia, la quota statunitense del PIL globale è in calo e nazioni come la Cina e l’India contribuiscono in modo significativo alla domanda di petrolio. La Cina acquista volumi significativi di petrolio russo e iraniano a prezzi scontati, proteggendosi parzialmente dall’aumento dei prezzi.

Anche l’India, un’altra grande economia emergente in rapida crescita, si rifornisce di carburante a basso costo dalla Russia, che è diventata il suo principale fornitore. È interessante notare che Delhi – che in passato ha espresso disappunto per i tagli dell’OPEC+ – è rimasta in silenzio sull’ultima tornata.

“Per la prima volta nella storia recente dell’energia, Washington, Londra, Parigi e Berlino non hanno un solo alleato all’interno del gruppo OPEC+”.

                         I cicli si susseguono

Gli alti prezzi del petrolio tendono a gettare i semi della loro stessa fine, incoraggiando maggiori investimenti nella produzione da parte di aziende che cercano di ottenere maggiori profitti.

Negli anni ’80, dopo il boom degli anni ’70, si è verificata un’eccedenza di petrolio, con l’espansione della produzione in Siberia, Alaska, Golfo del Messico e Mare del Nord. Lo schema si è ripetuto nel boom petrolifero degli anni 2000, terminato con l’emergere dello shale statunitense e il crollo dei prezzi nel 2014.

Questa volta l’urgenza è maggiore. Gli obiettivi ambientali spingono i Paesi a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Le preoccupazioni per la sicurezza nazionale in Europa – che fino alla guerra in Ucraina ha chiuso i rubinetti e dipendeva fortemente dal petrolio e dal gas russo – potrebbero accelerare la transizione.

E non è detto che i sauditi, la Russia e il resto del cartello OPEC+ riescano a mantenere il loro fronte unito. È più facile farlo quando i prezzi sono alti, ma quando il ciclo si inverte, i membri si dimostrano meno disposti a limitare l’offerta.

Tuttavia, almeno per il momento, il prezzo del bene più importante del mondo viene fissato da un paese su cui gli Stati Uniti non possono più contare come amico.

Pubblicato in: Cina, Devoluzione socialismo, Geopolitica Mondiale, Stati Uniti

Cina. Sta imponendo il suo Nuovo Ordine Mondiale.

Giuseppe Sandro Mela.

2023-04-17.

2023-03-21__ China New World Order 001

Una traduzione in lingua italiana è riportata in calce.

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«On March 10, Chinese President and Communist Party General-Secretary Xi Jinping brokered a surprise agreement between Saudi Arabia and Iran to reestablish diplomatic relations between the two countries, effectively knocking the US off the Middle Eastern chessboard and showing himself as a power-broker on the world stage. Xi is, in fact, on his way to Russia, possibly as soon as next week, with a 12-point peace plan — ostensibly to see if he can pull off the same wizardry with Ukraine, but more likely to nail down plans to seize Taiwan»

«China as the world’s new power-broker anywhere, especially in the Middle East — until Biden squandered America’s alliances there — is conceivably a seismic turning point: possibly the beginning of China fulfilling its dream of replacing the US as the dominant superpower in a new world order.»

«For the Biden Administration, this is a blow for which it has only itself to thank.»

«In addition to ignoring Saudi security concerns about Iran’s escalating nuclear weapons program, Biden also let Iran’s terrorist proxies off the hook. He removed Yemen’s Iranian-sponsored Houthi terrorist group from the list of Foreign Terrorist Organizations in February 2021, and refused to put it back even after the Houthis resumed missile and drone attacks on the United Arab Emirates, as well as more attacks on the Saudi Arabia. Is it any wonder, then, that in the vacuum the US created, the Saudis felt pushed towards China and Iran? What, after all, was their alternative?»

«China and other aggressors also cannot avoid seeing America’s non-stop ineptitude, whether the focus in the US military on teaching critical race theory and “climate change” rather than on how to win or deter wars; billions for “climate change,” which must give China, which is building “six times more coal plants than other countries,” a good laugh, while the US military budget has been in a steady net-decline, outpaced by Biden’s 6% inflation. Someone has not been minding the store.»

«Will more countries be willing to reject an international order based on democratic values — not to mention the world’s reserve currency — of the US?»

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China Inaugurating a New World Order?

March 17, 2023.

    On March 10, Chinese President and Communist Party General-Secretary Xi Jinping brokered a surprise agreement between Saudi Arabia and Iran to reestablish diplomatic relations between the two countries, effectively knocking the US off the Middle Eastern chessboard and showing himself as a power-broker on the world stage.

    Xi is, in fact, on his way to Russia, possibly as soon as next week, with a 12-point peace plan — ostensibly to see if he can pull off the same wizardry with Ukraine, but more likely to nail down plans to seize Taiwan.

    China as the world’s new power-broker anywhere, especially in the Middle East — until Biden squandered America’s alliances there — is conceivably a seismic turning point: possibly the beginning of China fulfilling its dream of replacing the US as the dominant superpower in a new world order.

    For the Biden Administration, this is a blow for which it has only itself to thank.

    In addition to ignoring Saudi security concerns about Iran’s escalating nuclear weapons program, Biden also let Iran’s terrorist proxies off the hook. He removed Yemen’s Iranian-sponsored Houthi terrorist group from the list of Foreign Terrorist Organizations in February 2021, and refused to put it back even after the Houthis resumed missile and drone attacks on the United Arab Emirates, as well as more attacks on the Saudi Arabia.

    Is it any wonder, then, that in the vacuum the US created, the Saudis felt pushed towards China and Iran? What, after all, was their alternative?

    It is likely that the Saudis were hoping that the Americans, even at the last minute, would pledge completely to terminate their negotiations with Iran over the nuclear deal, which permits Iran unlimited nuclear weapons.

    China and other aggressors also cannot avoid seeing America’s non-stop ineptitude, whether the focus in the US military on teaching critical race theory and “climate change” rather than on how to win or deter wars; billions for “climate change,” which must give China, which is building “six times more coal plants than other countries,” a good laugh, while the US military budget has been in a steady net-decline, outpaced by Biden’s 6% inflation. Someone has not been minding the store.

    Will more countries be willing to reject an international order based on democratic values — not to mention the world’s reserve currency — of the US?

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On March 10, Chinese President and Communist Party General-Secretary Xi Jinping brokered a surprise agreement between Saudi Arabia and Iran to reestablish diplomatic relations between the two countries, effectively knocking the US off the Middle Eastern chessboard and showing himself as a power-broker on the world stage.

Xi is, in fact, on his way to Russia, possibly as soon as next week, with a 12-point peace plan — ostensibly to see if he can pull off the same wizardry with Ukraine, but more likely to nail down plans to seize Taiwan.

China as the world’s new power-broker anywhere, especially in the Middle East — until Biden squandered America’s alliances there — is conceivably a seismic turning point: possibly the beginning of China fulfilling its dream of replacing the US as the dominant superpower in a new world order.

For the Biden Administration, this is a blow for which it has only itself to thank.

From the outset of his presidency, President Joe Biden completely deprioritized the Middle East: “If you are going to list the regions Biden sees as a priority, the Middle East is not in the top three,” a former senior national security official and close Biden adviser told Politico in 2021.

Biden then proved this highly unwise policy to anyone in doubt with his disastrous Afghanistan exit, creating a power vacuum in the region and demonstrating to allies everywhere that they could not rely on the US.

Biden then decisively cleared the path for China with his calamitous policies toward Saudi Arabia, creating another power vacuum. Enter Xi.

Saudi Arabia for decades relied on the US for its security. Since Crown Prince Mohammed bin Salman ascended to the second-most important position in the kingdom in 2017, he has expressed interest in loosening human right restrictions somewhat and seeking economic diversification. Then came Biden, campaigning for the presidency with the promise to make Saudi Arabia “pay the price, and make them in fact the pariah that they are.” He threw in gratuitously that there was “very little social redeeming value in the present government in Saudi Arabia.”

Making matters worse, the Biden administration has continued relentlessly to try to revive the flawed 2015 JCPOA “nuclear deal” with Iran — which is the pinnacle of “social redeeming value?” The Trump Administration had withdrawn from the deal after mountains of evidence kept turning up that Iran had reportedly been cheating “since day one.” Meanwhile the Biden Administration kept completely ignoring the legitimate fears that Saudi Arabia had of a nuclear Iran.

“Washington and the West have not been serious about the region’s security since concluding the Iranian nuclear agreement in 2015,” wrote Tariq Al-Homayed, a leading Saudi journalist and former newspaper editor following the Chinese-brokered deal.

As recently as January, when International Atomic Energy Agency (IAEA) chief Rafael Grossi made it clear that “only countries making bombs” are enriching uranium at Iran’s level, Saudi Arabia’s Minister of State for Foreign Affairs Adel al-Jubeir repeated the Saudi concerns:

    “I believe that Iran has an obligation to give up its nuclear program. I believe that Iran must be in compliance with the terms of the International Atomic Energy Agency and Iran, if it wants to be a member in good standing of the international community needs to respect international law, needs to respect international order.”

In addition to ignoring Saudi security concerns about Iran’s escalating nuclear weapons program, Biden also let Iran’s terrorist proxies off the hook. He removed Yemen’s Iranian-sponsored Houthi terrorist group from the list of Foreign Terrorist Organizations in February 2021, and refused to put it back even after the Houthis resumed missile and drone attacks on the United Arab Emirates, as well as more attacks on the Saudi Arabia (here and here).

“Providing ballistic missiles to terrorist groups,” Saudi Minister al-Jubeir recently noted, “is not acceptable… Providing drones to the Houthis in Yemen is also unacceptable.”

Is it any wonder, then, that in the vacuum the US created, the Saudis felt pushed towards China and Iran? What, after all, was their alternative?

The Saudis had given the Biden Administration plenty of hints about the extent to which relations have soured.

The entire world witnessed how Saudi Arabia’s low-key reception of Biden in July 2022, complete with awkward fist bump, contrasted with the lavish welcome reception that was bestowed on China’s Xi Jinping when he visited the kingdom in December 2022. Yet the Biden administration was at a complete loss as to how to reassert itself and reengage with Saudi Arabia to restore relations and bring back at least a trace of American influence. It is likely that the Saudis were hoping that the Americans, even at the last minute, would pledge completely to terminate their negotiations with Iran over the nuclear deal, which permits Iran unlimited nuclear weapons.

According to Suzanne Maloney, vice president and director of foreign policy at the Brookings Institution:

    “What is notable of course is the decision to hand the Chinese a huge public relations victory — a photo op that is intended to demonstrate China’s newfound stature in the region. In that sense, it would appear to be yet another Saudi slap in the face to the Biden administration.”

The harmful effects of the China-brokered agreement, however, amount to much more than a mere “Saudi slap” to the Biden Administration — especially after the US surrender to a terrorist group, the Taliban, in 2021; the disastrous retreat from the Bagram Air Base; and the Chinese spy balloon hovering for a full week over the most strategic US military sites. They add up to an even more diminished international standing for the US.

China can now boast that it is able to rearrange the pieces on the global chessboard, upend alliances that have dominated the international world order for decades, and make peace between enemies. If China can do all that, what else can it do?

China and other aggressors also cannot avoid seeing America’s non-stop ineptitude, whether the focus in the US military on teaching critical race theory and “climate change” rather than on how to win or deter wars; billions for “climate change,” which must give China, which is building “six times more coal plants than other countries,” a good laugh, while the US military budget has been in a steady net-decline, outpaced by Biden’s 6% inflation. Someone has not been minding the store.

Above all, the new agreement has unmistakably signaled to the world that the US is a power whose best days are behind it. That impression could only have been reinforced by White House Spokesman John Kirby’s lame comment made after Saudi-Iranian agreement: “We support any effort to de-escalate tensions there.”

The Middle East region, apart from Israel, consists of more-or-less authoritarian states that share China’s views on state sovereignty, non-interference, and evidently not all that much interest in human rights. Will more countries be willing to reject an international order based on democratic values — not to mention the world’s reserve currency — of the US?

Dominating the world and replacing the US as the world’s dominant superpower by 2049 — militarily, economically, technologically and geopolitically — is what China has coveted for decades.

The deal “proves that Chinese medicine can solve problems that western medicine cannot solve,” announced Wang Yiwei, the director of the Institute of International Affairs at China’s Renmin University.

Most tragically, all the US decisions, from blocking US energy production to closing down the “China Initiative” to prevent further espionage, and including those above, that led to this juncture appear totally unnecessary own-goals.

“This is a battle of narratives for the future of the international order,” said Yun Sun, director of the China Program at the Stimson Center, a Washington-based research institute. “China is saying the world is in chaos because U.S. leadership has failed.”

Again.

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Il 10 marzo, il presidente cinese e segretario generale del Partito Comunista Xi Jinping ha mediato un accordo a sorpresa tra Arabia Saudita e Iran per ristabilire le relazioni diplomatiche tra i due Paesi, mettendo di fatto fuori gioco gli Stati Uniti dallo scacchiere mediorientale e mostrandosi come un mediatore di potere sulla scena mondiale. Xi è infatti in procinto di recarsi in Russia, forse già la prossima settimana, con un piano di pace in 12 punti, apparentemente per vedere se riuscirà a fare lo stesso magheggio con l’Ucraina, ma più probabilmente per mettere a punto i piani di conquista di Taiwan.

La Cina come nuovo mediatore di potere nel mondo, specialmente in Medio Oriente – fino a quando Biden non ha dilapidato le alleanze americane in quella regione – è probabilmente un punto di svolta sismico: forse l’inizio della realizzazione del sogno della Cina di sostituire gli Stati Uniti come superpotenza dominante in un nuovo ordine mondiale.

Per l’amministrazione Biden, questo è un colpo per il quale deve ringraziare solo se stessa.

 Oltre a ignorare le preoccupazioni della sicurezza saudita per l’intensificarsi del programma di armi nucleari dell’Iran, Biden ha anche lasciato liberi i proxy terroristici dell’Iran. Ha rimosso il gruppo terroristico Houthi dello Yemen, sponsorizzato dall’Iran, dalla lista delle organizzazioni terroristiche straniere nel febbraio 2021 e si è rifiutato di rimetterlo anche dopo che gli Houthi hanno ripreso gli attacchi missilistici e con i droni contro gli Emirati Arabi Uniti e altri attacchi contro l’Arabia Saudita. C’è da stupirsi, quindi, che nel vuoto creato dagli Stati Uniti, i sauditi si siano sentiti spinti verso la Cina e l’Iran? Quale era, dopo tutto, la loro alternativa?.

La Cina e gli altri aggressori non possono evitare di vedere l’inettitudine continua dell’America, sia che l’attenzione delle forze armate statunitensi si concentri sull’insegnamento della teoria critica delle razze e sul cambiamento climatico piuttosto che su come vincere o dissuadere le guerre; i miliardi per il cambiamento climatico, che devono far ridere la Cina, che sta costruendo sei volte più centrali a carbone di altri Paesi, mentre il bilancio militare degli Stati Uniti ha subito un calo netto costante, superato dall’inflazione del 6% di Biden. Qualcuno non ha badato al negozio.

Ci saranno più Paesi disposti a rifiutare un ordine internazionale basato sui valori democratici – per non parlare della valuta di riserva mondiale – degli Stati Uniti?.

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La Cina inaugura un nuovo ordine mondiale?

17 marzo 2023.

    Il 10 marzo, il presidente cinese e segretario generale del Partito Comunista Xi Jinping ha mediato un accordo a sorpresa tra Arabia Saudita e Iran per ristabilire le relazioni diplomatiche tra i due Paesi, mettendo di fatto fuori gioco gli Stati Uniti dallo scacchiere mediorientale e mostrandosi come un mediatore di potere sulla scena mondiale.

    Xi si sta infatti recando in Russia, forse già la prossima settimana, con un piano di pace in 12 punti, apparentemente per vedere se è in grado di fare lo stesso magheggio con l’Ucraina, ma più probabilmente per definire i piani di conquista di Taiwan.

    La Cina come nuovo mediatore di potere nel mondo, specialmente in Medio Oriente – fino a quando Biden non ha dilapidato le alleanze americane in quella regione – è plausibilmente un punto di svolta sismico: forse l’inizio della realizzazione del sogno della Cina di sostituire gli Stati Uniti come superpotenza dominante in un nuovo ordine mondiale.

    Per l’Amministrazione Biden, questo è un colpo per il quale deve ringraziare solo se stessa.

    Oltre a ignorare le preoccupazioni della sicurezza saudita per l’intensificarsi del programma di armamento nucleare iraniano, Biden ha anche lasciato liberi i proxy terroristici dell’Iran. Ha rimosso il gruppo terroristico Houthi dello Yemen, sponsorizzato dall’Iran, dalla lista delle organizzazioni terroristiche straniere nel febbraio 2021 e si è rifiutato di rimetterlo anche dopo che gli Houthi hanno ripreso gli attacchi missilistici e con i droni contro gli Emirati Arabi Uniti e altri attacchi contro l’Arabia Saudita.

    C’è da stupirsi, quindi, che nel vuoto creato dagli Stati Uniti, i sauditi si siano sentiti spinti verso la Cina e l’Iran? Quale era, dopo tutto, la loro alternativa?

    È probabile che i sauditi sperassero che gli americani, anche all’ultimo minuto, si impegnassero a terminare completamente i negoziati con l’Iran sull’accordo nucleare, che consente all’Iran armi nucleari illimitate.

    Anche la Cina e gli altri aggressori non possono fare a meno di vedere l’inettitudine continua dell’America, come l’attenzione delle forze armate statunitensi all’insegnamento della teoria critica delle razze e al “cambiamento climatico” piuttosto che a come vincere o dissuadere le guerre; i miliardi per il “cambiamento climatico”, che devono far ridere la Cina, che sta costruendo “sei volte più centrali a carbone di altri Paesi”, mentre il bilancio militare degli Stati Uniti ha subito una costante diminuzione netta, superata dall’inflazione del 6% di Biden. Qualcuno non ha badato al negozio.

    Ci saranno altri Paesi disposti a rifiutare un ordine internazionale basato sui valori democratici – per non parlare della valuta di riserva mondiale – degli Stati Uniti?

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Il 10 marzo, il presidente cinese e segretario generale del Partito Comunista Xi Jinping ha mediato un accordo a sorpresa tra l’Arabia Saudita e l’Iran per ristabilire le relazioni diplomatiche tra i due Paesi, mettendo di fatto fuori gioco gli Stati Uniti dallo scacchiere mediorientale e mostrandosi come un mediatore di potere sulla scena mondiale.

Xi sta infatti andando in Russia, forse già la prossima settimana, con un piano di pace in 12 punti, apparentemente per vedere se riesce a fare lo stesso magheggio con l’Ucraina, ma più probabilmente per definire i piani di conquista di Taiwan.

La Cina come nuovo mediatore di potere nel mondo, specialmente in Medio Oriente – fino a quando Biden non ha dilapidato le alleanze americane in quella regione – è plausibilmente un punto di svolta sismico: forse l’inizio della realizzazione del sogno della Cina di sostituire gli Stati Uniti come superpotenza dominante in un nuovo ordine mondiale.

Per l’Amministrazione Biden, questo è un colpo per il quale deve ringraziare solo se stessa.

Fin dall’inizio della sua presidenza, il presidente Joe Biden ha completamente deprezzato il Medio Oriente: “Se si vuole elencare le regioni che Biden considera prioritarie, il Medio Oriente non è tra le prime tre”, ha dichiarato a Politico nel 2021 un ex alto funzionario della sicurezza nazionale e stretto consigliere di Biden.

Biden ha poi dimostrato a chiunque ne dubitasse questa politica estremamente poco saggia con la sua disastrosa uscita dall’Afghanistan, creando un vuoto di potere nella regione e dimostrando agli alleati di tutto il mondo che non potevano contare sugli Stati Uniti.

Biden ha poi decisamente spianato la strada alla Cina con le sue politiche disastrose nei confronti dell’Arabia Saudita, creando un altro vuoto di potere. Entra in scena Xi.

Per decenni l’Arabia Saudita ha fatto affidamento sugli Stati Uniti per la propria sicurezza. Da quando, nel 2017, il principe ereditario Mohammed bin Salman è salito alla seconda posizione più importante del regno, ha espresso interesse ad allentare un po’ le restrizioni sui diritti umani e a cercare una diversificazione economica. Poi è arrivato Biden, in campagna elettorale per la presidenza con la promessa di far pagare all’Arabia Saudita “il prezzo, e renderla di fatto il paria che è”. Ha aggiunto gratuitamente che l’attuale governo dell’Arabia Saudita ha “pochissimo valore sociale da riscattare”.

A peggiorare le cose, l’amministrazione Biden ha continuato senza sosta a cercare di far rivivere il difettoso “accordo nucleare” del 2015 del JCPOA con l’Iran – che è l’apice del “valore di riscatto sociale?”. L’amministrazione Trump si era ritirata dall’accordo dopo che erano emerse montagne di prove che dimostravano che l’Iran aveva imbrogliato “fin dal primo giorno”. Nel frattempo, l’amministrazione Biden ha continuato a ignorare completamente i legittimi timori dell’Arabia Saudita nei confronti di un Iran nucleare.

“Washington e l’Occidente non hanno preso sul serio la sicurezza della regione da quando hanno concluso l’accordo sul nucleare iraniano nel 2015”, ha scritto Tariq Al-Homayed, un importante giornalista saudita ed ex direttore di giornale, dopo l’accordo mediato dalla Cina.

A gennaio, quando il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) Rafael Grossi ha chiarito che “solo i Paesi che fabbricano bombe” arricchiscono l’uranio al livello dell’Iran, il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita Adel al-Jubeir ha ribadito le preoccupazioni saudite:

    “Credo che l’Iran abbia l’obbligo di rinunciare al suo programma nucleare. Credo che l’Iran debba rispettare i termini dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e che l’Iran, se vuole essere un membro in regola della comunità internazionale, debba rispettare il diritto internazionale e l’ordine internazionale”.

Oltre a ignorare le preoccupazioni della sicurezza saudita per l’intensificarsi del programma di armi nucleari dell’Iran, Biden ha anche lasciato liberi i proxy terroristici dell’Iran. Ha rimosso il gruppo terroristico Houthi dello Yemen, sponsorizzato dall’Iran, dalla lista delle organizzazioni terroristiche straniere nel febbraio 2021, e si è rifiutato di rimetterlo anche dopo che gli Houthi hanno ripreso gli attacchi missilistici e con i droni contro gli Emirati Arabi Uniti, nonché altri attacchi contro l’Arabia Saudita (qui e qui).

“Fornire missili balistici ai gruppi terroristici”, ha osservato di recente il ministro saudita al-Jubeir, “non è accettabile… Anche fornire droni agli Houthi in Yemen è inaccettabile”.

C’è da stupirsi, quindi, che nel vuoto creato dagli Stati Uniti, i sauditi si siano sentiti spinti verso la Cina e l’Iran? Quale era, dopo tutto, la loro alternativa?

I sauditi avevano dato all’Amministrazione Biden molti indizi sul grado di deterioramento delle relazioni.

Il mondo intero ha potuto constatare come l’accoglienza di basso profilo riservata dall’Arabia Saudita a Biden nel luglio 2022, con tanto di imbarazzante pugno di ferro, sia stata in contrasto con la sontuosa accoglienza riservata al presidente cinese Xi Jinping in occasione della sua visita nel regno nel dicembre 2022. Tuttavia, l’amministrazione Biden non ha saputo come riaffermarsi e riallacciare i rapporti con l’Arabia Saudita per ristabilire le relazioni e riportare almeno una traccia di influenza americana. È probabile che i sauditi sperassero che gli americani, anche all’ultimo minuto, si impegnassero a interrompere completamente i negoziati con l’Iran sull’accordo nucleare, che consente all’Iran di avere armi nucleari illimitate.

Secondo Suzanne Maloney, vicepresidente e direttore della politica estera della Brookings Institution:

    “Ciò che è notevole, naturalmente, è la decisione di consegnare ai cinesi un’enorme vittoria in termini di pubbliche relazioni, un’operazione fotografica volta a dimostrare la ritrovata statura della Cina nella regione. In questo senso, sembra essere l’ennesimo schiaffo saudita all’amministrazione Biden”.

Gli effetti dannosi dell’accordo mediato dalla Cina, tuttavia, sono molto più di un semplice “schiaffo saudita” all’amministrazione Biden, soprattutto dopo la resa degli Stati Uniti a un gruppo terroristico, i Talebani, nel 2021, la disastrosa ritirata dalla base aerea di Bagram e il pallone spia cinese che ha sorvolato per un’intera settimana i siti militari statunitensi più strategici. Tutto ciò si aggiunge a una posizione internazionale ancora più ridotta per gli Stati Uniti.

La Cina può ora vantarsi di essere in grado di riorganizzare i pezzi sulla scacchiera globale, di rovesciare le alleanze che hanno dominato l’ordine mondiale internazionale per decenni e di fare la pace tra nemici. Se la Cina può fare tutto questo, cos’altro può fare?

La Cina e gli altri aggressori non possono evitare di vedere l’inettitudine continua dell’America, come l’attenzione delle forze armate statunitensi all’insegnamento della teoria critica delle razze e del “cambiamento climatico” piuttosto che a come vincere o dissuadere le guerre; i miliardi per il “cambiamento climatico”, che devono far ridere la Cina, che sta costruendo “sei volte più centrali a carbone di altri Paesi”, mentre il bilancio militare degli Stati Uniti è in costante calo netto, superato dall’inflazione del 6% di Biden. Qualcuno non ha badato al negozio.

Soprattutto, il nuovo accordo ha segnalato inequivocabilmente al mondo che gli Stati Uniti sono una potenza i cui giorni migliori sono ormai alle spalle. Questa impressione non poteva che essere rafforzata dal commento zoppicante del portavoce della Casa Bianca John Kirby dopo l’accordo saudita-iraniano: “Appoggiamo qualsiasi sforzo per attenuare le tensioni in quella regione”.

La regione mediorientale, a parte Israele, è composta da Stati più o meno autoritari che condividono il punto di vista della Cina sulla sovranità statale, sulla non ingerenza e, evidentemente, non sono molto interessati ai diritti umani. Ci saranno altri Paesi disposti a rifiutare un ordine internazionale basato sui valori democratici – per non parlare della valuta di riserva mondiale – degli Stati Uniti?

Dominare il mondo e sostituire gli Stati Uniti come superpotenza dominante entro il 2049 – militarmente, economicamente, tecnologicamente e geopoliticamente – è ciò che la Cina desidera da decenni.

L’accordo “dimostra che la medicina cinese può risolvere problemi che la medicina occidentale non è in grado di risolvere”, ha annunciato Wang Yiwei, direttore dell’Istituto di Affari Internazionali dell’Università cinese Renmin.

La cosa più tragica è che tutte le decisioni degli Stati Uniti, dal blocco della produzione energetica americana alla chiusura dell'”Iniziativa Cina” per impedire ulteriore spionaggio, e comprese quelle sopra citate, che hanno portato a questo punto sembrano autogol del tutto inutili.

“Si tratta di una battaglia di narrazioni per il futuro dell’ordine internazionale”, ha dichiarato Yun Sun, direttore del Programma Cina presso lo Stimson Center, un istituto di ricerca con sede a Washington. “La Cina dice che il mondo è nel caos perché la leadership degli Stati Uniti ha fallito”.

Di nuovo. La Cina inaugura un nuovo ordine mondiale?

17 marzo 2023.

    Il 10 marzo, il presidente cinese e segretario generale del Partito Comunista Xi Jinping ha mediato un accordo a sorpresa tra l’Arabia Saudita e l’Iran per ristabilire le relazioni diplomatiche tra i due Paesi, mettendo di fatto fuori gioco gli Stati Uniti dallo scacchiere mediorientale e mostrandosi come un mediatore di potere sulla scena mondiale.

    Xi si sta infatti recando in Russia, forse già la prossima settimana, con un piano di pace in 12 punti, apparentemente per vedere se è in grado di fare lo stesso magheggio con l’Ucraina, ma più probabilmente per definire i piani di conquista di Taiwan.

Pubblicato in: Armamenti, Banche Centrali, Devoluzione socialismo, Geopolitica Mondiale

G7 spezzato in due. Il Giappone compra petrolio russo a 70 Usd al barile. Ignora il cap Usa.

Giuseppe Sandro Mela.

2023-04-09.

Uova rotte 001

L’enclave liberal socialista perde un pezzo importante. Il Giappone compra petrolio russo a 70 Usd al barile. Ignora il diktat americno del cap a 60 dollari al barile.

Una traduzione in lingua italiana è riportata in calce.

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«The Sakhalin Island complex, partly owned by Gazprom and Japanese companies, is vital to Japan’s energy security as it accounts for 9% of the country’s liquefied natural gas imports. The oil, a byproduct at the plant known as Sakhalin Blend, needs to be shipped out regularly for production to continue»

«Refiners in the world’s third-largest economy, which is heavily reliant on energy imports, suspended Russian oil purchases after Tokyo agreed to phase them out with other G7 countries in response to Moscow’s invasion of Ukraine. Japan imported 452,519 kilolitres, or 7,797 barrels per day, of Sakhalin Blend crude in 2021, just 0.3% of its annual crude imports. Japan has imported 327,939 kl, or 5,650 bpd, of Sakhalin Blend crude so far this year.»

«The United States has rallied its European allies behind a USD 60-per-barrel ban on purchases of Russian crude oil, but one of Washington’s closest Asian allies, Japan, has begun buying the oil at prices higher than the cap. Japan persuaded the US to make the exception, claiming that it was necessary to ensure access to Russian energy. The concession demonstrates Japan’s reliance on Russia for fossil fuels, which observers say has contributed to Tokyo’s reluctance to fully support Ukraine in its conflict with Russia.»

«Japan is the only country in the G-7 group that does not supply lethal weapons to Ukraine, and Japanese PM Fumio Kishida was the last G-7 leader to visit Ukraine after Russia invaded the country. The oil purchases, while tiny and permitted by the US, indicate a breach in the US-led campaign to impose a global USD 60-per-barrel cap on Russian crude oil purchases. The cap works because oil-buying countries, even if they are not allies of the United States, often require insurance and other services from companies based in the United States or one of its allies. The G-7, the European Union, and Australia have agreed to rules that prohibit those companies from providing services if a buyer of Russian oil pays more than USD 60 per barrel.»

«A small quantity of crude oil is extracted along with the natural gas at Sakhlain-3 and needs to be sold to ensure liquefied natural gas, or LNG, production continues. The price is decided by negotiations between the two parties. Russia accounts for around one-tenth of Japan’s natural-gas imports, most of it from Sakhalin-2, and the quantity purchased by Japan last year was 4.6 per cent greater than in the earlier year. According to official trade records, Japan purchased approximately 748,000 barrels of Russian oil for a total of Yen 6.9 billion in the first two months of this year. At the current currency rate, that equates to USD 52 million, or slightly less than USD 70 per barrel.»

«Saudi Arabia was the largest source of oil imports, providing 33.108 million barrels or 43.4 percent of the total. It was followed by the United Arab Emirates with 26.244 million barrels (34.4 percent), Kuwait with 8.077 million barrels (10.6percent) and Qatar with 4.917 million barrels (6.5 percent). Japan imported about 1.495 million barrels (2 percent) from the Sultanate of Oman and 1.007 million barrels (1.3 percent) from Bahrain.»

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Japan sounds out oil refiners on buying Russian oil from Sakhalin-2 -sources

Tokyo, Dec 19 (Reuters) – Japan is sounding out major oil refiners about buying Russian ultra light crude from the Sakhalin-2 gas and oil project to ensure that the plant can continue to operate smoothly, two sources with direct knowledge of the talks said.

The Sakhalin Island complex, partly owned by Gazprom (GAZP.MM) and Japanese companies, is vital to Japan’s energy security as it accounts for 9% of the country’s liquefied natural gas imports.

The oil, a byproduct at the plant known as Sakhalin Blend, needs to be shipped out regularly for production to continue, the sources said.

The government’s move signals a potential restart of Russian oil imports by Japan for the first time since June. This is not likely to upset its allies in Group of Seven (G7) as they have agreed to exempt the Sakhalin-2 oil from a price cap placed on Russian crude exports this month.

“The government is sounding out top refiners to buy oil from the Sakhalin-2 to make sure LNG supply from the project can continue,” one of the sources, a senior industry official, told Reuters.

Refiners in the world’s third-largest economy, which is heavily reliant on energy imports, suspended Russian oil purchases after Tokyo agreed to phase them out with other G7 countries in response to Moscow’s invasion of Ukraine.

Sakhalin Blend crude exports have fallen to three cargoes per month between October and December, down from five per month before the Ukraine war, Refinitiv data showed.

“We are consulting with refiners to see if they could buy the Sakhalin-2 oil while asking the refiners which had been buying the oil before Russian invasion of Ukraine to continue purchasing,” the second source, a government official, said.

The sources declined to be identified because the information is not public.

Japan’s trading houses continue to own stakes in the Sakhalin-2 project, which Tokyo says is essential for energy security. Japan has said that blocking the international purchase of Sakhalin-2 oil would hinder the production of natural gas.

Eneos Holdings (5020.T), Japan’s biggest oil refiner, is exchanging views with the government regarding Sakhalin-2 crude purchase, a company spokesperson said, but declined to comment further.

Japan’s second biggest refiner Idemitsu Kosan (5019.T) would consider whether or not it would buy the oil if requested by the government, a spokesperson said.

The industry ministry declined to comment.

Sakhalin Energy did not respond to a request for comment.

Japanese buyers last imported Sakhalin Blend crude in May, based on industry ministry data.

Japan imported 452,519 kilolitres, or 7,797 barrels per day, of Sakhalin Blend crude in 2021, just 0.3% of its annual crude imports. Japan has imported 327,939 kl, or 5,650 bpd, of Sakhalin Blend crude so far this year.

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Japan breaks ranks with US allies, purchases Russian oil at price higher than cap

Tokyo [Japan], April 3 (ANI): The United States has rallied its European allies behind a USD 60-per-barrel ban on purchases of Russian crude oil, but one of Washington’s closest Asian allies, Japan, has begun buying the oil at prices higher than the cap, reported Wall Street Journal.

Japan persuaded the US to make the exception, claiming that it was necessary to ensure access to Russian energy. The concession demonstrates Japan’s reliance on Russia for fossil fuels, which observers say has contributed to Tokyo’s reluctance to fully support Ukraine in its conflict with Russia.

Despite the fact that several European countries have reduced their reliance on the Russian energy supply, Japan has increased its purchases of Russian natural gas in the last year.

Japan is the only country in the G-7 group that does not supply lethal weapons to Ukraine, and Japanese PM Fumio Kishida was the last G-7 leader to visit Ukraine after Russia invaded the country.

Kishida has stated that the G-7 summited he is hosting in his hometown of Hiroshima in May will show solidarity with Ukraine. Tokyo has stated that it is committed to assisting Kyiv but is unable to deliver weaponry due to longstanding export limitations imposed by the cabinet, according to a report in Wall Street Journal.

Chief government spokesman, Hirokazu Matsuno, “We absolutely will not allow Russia’s outrageous act, and we are imposing strict sanctions on Russia in order to stop Russia’s invasion as soon as possible.”

The oil purchases, while tiny and permitted by the US, indicate a breach in the US-led campaign to impose a global USD 60-per-barrel cap on Russian crude oil purchases.

A report in Wall Street Journal read, the cap works because oil-buying countries, even if they are not allies of the United States, often require insurance and other services from companies based in the United States or one of its allies. The G-7, the European Union, and Australia have agreed to rules that prohibit those companies from providing services if a buyer of Russian oil pays more than USD 60 per barrel.

Last year, the countries agreed to an exemption from the cap through September 30 for oil acquired by Japan from Russia’s Far East Sakhalin-2 project.

A Japanese Ministry of Economy, Trade, and Industry official stated that Tokyo intended to ensure access to Sakhalin-2’s major product, natural gas, which is liquefied and shipped to Japan. The official said, “We have done this with an eye toward having a stable supply chain of energy in Japan.”

He added a small quantity of crude oil is extracted along with the natural gas at Sakhlain-3 and needs to be sold to ensure liquefied natural gas, or LNG, production continues. He said, “The price is decided by negotiations between the two parties.”

Russia accounts for around one-tenth of Japan’s natural-gas imports, most of it from Sakhalin-2, and the quantity purchased by Japan last year was 4.6 per cent greater than in the earlier year.

This contrasts with Germany, which relied on Russia for 55 per cent of its natural-gas imports prior to the war and was able to survive a complete cutoff by quickly remodelling its import infrastructure. Germany’s economy increased faster than Japan’s previous year, defying predictions of a German recession caused by the cutoff of Russian gas.

A professor at Temple University’s Japan campus, James Brown said, “It’s not as if Japan can’t manage without this. They can. They simply don’t want to.” “Japan should move to withdraw from the Sakhalin projects eventually if they’re really serious about supporting Ukraine.”

Two Japanese companies, Mitsui & Co and Mitsubishi Corp, jointly own a 22.5 per cent stake in Sakhalin-2 and successfully pushed to maintain the stake last year with backing from Tokyo when Russia’s government under President Vladimir Putin restructured the project and installed a new Russian operator.

According to official trade records, Japan purchased approximately 748,000 barrels of Russian oil for a total of Yen 6.9 billion in the first two months of this year. At the current currency rate, that equates to USD 52 million, or slightly less than USD 70 per barrel. Russia exports millions of barrels of oil every day, therefore Japan’s purchases represent a negligible portion of total Russian output, as per Wall Street Journal.

Japan produces almost no fossil fuels and relies heavily on imported natural gas and coal for much of its electricity. Authorities have stated that giving up access to Russian liquefied natural gas would be counterproductive because Russia could sell the LNG to China.

In addition to the price cap, the United States and many of its allies have effectively prohibited the import of Russian oil into their own countries.

For months, US officials have claimed that the cap has generally succeeded in reducing Russia’s oil revenue while stabilising global oil markets. This year, Russia’s budget has suffered as the price of its crude has declined, while global oil benchmarks have stabilised as Russian output has reduced only a little. In addition, the United States and its allies have imposed two additional price limitations on Russian petroleum goods.

Japan has pursued energy linkages with Russia since the Soviet Union’s demise, in part to further its goal of reclaiming a group of northern islands taken by Soviet forces in 1945.

Shinzo Abe, the late Prime Minister of Japan, met Putin more than a dozen times in the hopes of securing a territory deal and a formal Japan-Russia peace treaty, which was never signed after World War II, Wall Street Journal reported. (ANI).

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Arab crude oil provides 98.1 percent of Japan’s imports in February

Tokyo:(Rahnuma) Japan’s imports of crude oil from Arab countries rose to more than 98 percent of total imports in February with Saudi Arabia and the UAE providing 77.8 percent of the total, according to data from the Agency for Natural Resources and Energy of the Japanese Ministry of Economy, Trade and Industry.

Japan’s total oil imports amounted to 76.364 million barrels in February and the share of Arab oil was 98.1 percent, or 74.910 million barrels, originating from six Arab Gulf Cooperation Council countries: Saudi Arabia, the UAE, Kuwait, Qatar, Bahrain and Oman.

Saudi Arabia was the largest source of oil imports, providing 33.108 million barrels or 43.4 percent of the total. It was followed by the United Arab Emirates with 26.244 million barrels (34.4 percent), Kuwait with 8.077 million barrels (10.6percent) and Qatar with 4.917 million barrels (6.5 percent). Japan imported about 1.495 million barrels (2 percent) from the Sultanate of Oman and 1.007 million barrels (1.3 percent) from Bahrain.

The rest of the imports showed a decline from the United States of America (1.1percent), while Southeast Asia provided 0.7percent, Brunei 0.4 percent, Malaysia 0.3 percent and Oceania 0.2 percent of the total.

Most notable in the February figures was the absence of oil imports from Russia.

In addition, Japanese companies continued to boycott Iranian oil as Japan complied with sanctions imposed by the USA on that country.

The figures above represent the quantities of oil that reached refineries, tanks and warehouses in ports in Japan during February. Japan uses oil to generate about a third of its energy needs.

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Il complesso dell’isola di Sakhalin, in parte di proprietà di Gazprom e di società giapponesi, è fondamentale per la sicurezza energetica del Giappone, poiché rappresenta il 9% delle importazioni di gas naturale liquefatto del Paese. Il petrolio, un sottoprodotto dell’impianto noto come Sakhalin Blend, deve essere spedito regolarmente per poter continuare la produzione.

I raffinatori della terza economia mondiale, che dipende fortemente dalle importazioni di energia, hanno sospeso gli acquisti di petrolio russo dopo che Tokyo ha concordato di eliminarli gradualmente con altri Paesi del G7 in risposta all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca. Nel 2021 il Giappone ha importato 452,519 chilolitri, pari a 7,797 barili al giorno, di greggio della miscela Sakhalin, appena lo 0.3% delle sue importazioni annuali di greggio. Quest’anno il Giappone ha importato 327,939 kl, ovvero 5,650 bpd, di greggio Sakhalin Blend.

Gli Stati Uniti hanno sostenuto i loro alleati europei con un divieto di acquisto di greggio russo a 60 dollari al barile, ma uno dei più stretti alleati asiatici di Washington, il Giappone, ha iniziato ad acquistare il petrolio a prezzi superiori al limite. Il Giappone ha convinto gli Stati Uniti a fare un’eccezione, sostenendo che fosse necessaria per garantire l’accesso all’energia russa. La concessione dimostra la dipendenza del Giappone dalla Russia per i combustibili fossili, che secondo gli osservatori ha contribuito alla riluttanza di Tokyo a sostenere pienamente l’Ucraina nel suo conflitto con la Russia.

Il Giappone è l’unico Paese del G-7 a non fornire armi letali all’Ucraina e il premier giapponese Fumio Kishida è stato l’ultimo leader del G-7 a visitare l’Ucraina dopo che la Russia aveva invaso il Paese. Gli acquisti di petrolio, benché esigui e consentiti dagli Stati Uniti, indicano una violazione della campagna guidata dagli Stati Uniti per imporre un tetto globale di 60 dollari al barile agli acquisti di greggio russo. Il limite funziona perché i Paesi acquirenti di petrolio, anche se non sono alleati degli Stati Uniti, spesso richiedono assicurazioni e altri servizi a società con sede negli Stati Uniti o in uno dei loro alleati. Il G-7, l’Unione Europea e l’Australia hanno concordato regole che vietano a queste compagnie di fornire servizi se un acquirente di petrolio russo paga più di 60 dollari al barile.

Una piccola quantità di greggio viene estratta insieme al gas naturale a Sakhlain-3 e deve essere venduta per garantire la continuazione della produzione di gas naturale liquefatto (LNG). Il prezzo è deciso dalle trattative tra le due parti. La Russia rappresenta circa un decimo delle importazioni giapponesi di gas naturale, la maggior parte del quale proviene da Sakhalin-2, e la quantità acquistata dal Giappone lo scorso anno è stata superiore del 4.6% rispetto all’anno precedente. Secondo i registri commerciali ufficiali, nei primi due mesi di quest’anno il Giappone ha acquistato circa 748,000 barili di petrolio russo per un totale di 6.9 miliardi di yen. Al tasso di cambio attuale, ciò equivale a 52 milioni di dollari, ovvero poco meno di 70 dollari al barile.

L’Arabia Saudita è stata la principale fonte di importazioni di petrolio, fornendo 33.108 milioni di barili, pari al 43.4% del totale. Seguono gli Emirati Arabi Uniti con 26.244 milioni di barili (34.4%), il Kuwait con 8.077 milioni di barili (10.6%) e il Qatar con 4.917 milioni di barili (6.5%). Il Giappone ha importato circa 1.495 milioni di barili (2%) dal Sultanato dell’Oman e 1.007 milioni di barili (1.3%) dal Bahrein.

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Japan sounds out oil refiners on buying Russian oil from Sakhalin-2 -sources

Il Giappone sta sondando i raffinatori di petrolio per l’acquisto di petrolio russo da Sakhalin-2 – Fonti

Tokyo, 19 dicembre (Reuters) – Il Giappone sta sondando i principali raffinatori di petrolio per l’acquisto di greggio russo ultraleggero dal progetto Sakhalin-2 per il gas e il petrolio, al fine di garantire che l’impianto possa continuare a funzionare senza problemi, hanno dichiarato due fonti a conoscenza diretta dei colloqui.

Il complesso dell’isola di Sakhalin, in parte di proprietà di Gazprom (GAZP.MM) e di società giapponesi, è fondamentale per la sicurezza energetica del Giappone, in quanto rappresenta il 9% delle importazioni di gas naturale liquefatto del Paese.

Il petrolio, un sottoprodotto dell’impianto noto come Sakhalin Blend, deve essere spedito regolarmente per poter continuare la produzione, hanno dichiarato le fonti.

La mossa del governo segnala un potenziale riavvio delle importazioni di petrolio russo da parte del Giappone per la prima volta da giugno. È probabile che questo non sconvolga gli alleati del Gruppo dei Sette (G7), che hanno accettato di esentare il petrolio Sakhalin-2 dal limite di prezzo imposto alle esportazioni di greggio russo questo mese.

“Il governo sta sondando i principali raffinatori per acquistare il petrolio di Sakhalin-2 e assicurarsi che la fornitura di GNL dal progetto possa continuare”, ha dichiarato a Reuters una delle fonti, un alto funzionario del settore.

Le raffinerie della terza economia mondiale, che dipende fortemente dalle importazioni di energia, hanno sospeso gli acquisti di petrolio russo dopo che Tokyo ha deciso di eliminarli gradualmente insieme ad altri Paesi del G7 in risposta all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.

Le esportazioni di greggio Sakhalin Blend sono scese a tre carichi al mese tra ottobre e dicembre, rispetto ai cinque al mese prima della guerra in Ucraina, secondo i dati di Refinitiv.

“Ci stiamo consultando con i raffinatori per vedere se possono acquistare il petrolio di Sakhalin-2, mentre chiediamo ai raffinatori che acquistavano il petrolio prima dell’invasione russa dell’Ucraina di continuare ad acquistarlo”, ha detto la seconda fonte, un funzionario del governo.

Le fonti hanno rifiutato di essere identificate perché le informazioni non sono pubbliche.

Le società commerciali giapponesi continuano a detenere partecipazioni nel progetto Sakhalin-2, che secondo Tokyo è essenziale per la sicurezza energetica. Il Giappone ha affermato che il blocco dell’acquisto internazionale del petrolio di Sakhalin-2 ostacolerebbe la produzione di gas naturale.

Eneos Holdings, il più grande raffinatore di petrolio del Giappone, sta scambiando opinioni con il governo in merito all’acquisto del greggio di Sakhalin-2, ha dichiarato un portavoce della società, ma ha rifiutato di commentare ulteriormente.

La seconda raffineria giapponese Idemitsu Kosan sta valutando se acquistare o meno il petrolio se richiesto dal governo, ha dichiarato un portavoce.

Il Ministero dell’Industria ha rifiutato di commentare.

Sakhalin Energy non ha risposto a una richiesta di commento.

L’ultima importazione di greggio Sakhalin Blend da parte degli acquirenti giapponesi risale a maggio, secondo i dati del ministero dell’Industria.

Nel 2021 il Giappone ha importato 452,519 chilolitri, pari a 7,797 barili al giorno, di greggio della miscela Sakhalin, appena lo 0.3% delle sue importazioni annuali di greggio. Quest’anno il Giappone ha importato 327,939 kl, pari a 5,650 bpd, di greggio Sakhalin Blend.

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Japan breaks ranks with US allies, purchases Russian oil at price higher than cap

Il Giappone rompe i ranghi con gli alleati statunitensi e acquista petrolio russo a un prezzo superiore al limite massimo

Tokyo [Giappone], 3 apr. (ANI): Gli Stati Uniti hanno convinto i loro alleati europei a vietare l’acquisto di greggio russo a 60 dollari al barile, ma uno dei più stretti alleati asiatici di Washington, il Giappone, ha iniziato ad acquistare il petrolio a prezzi superiori al tetto massimo, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal.

Il Giappone ha convinto gli Stati Uniti a fare un’eccezione, sostenendo che fosse necessaria per garantire l’accesso all’energia russa. La concessione dimostra la dipendenza del Giappone dalla Russia per i combustibili fossili, che secondo gli osservatori ha contribuito alla riluttanza di Tokyo a sostenere pienamente l’Ucraina nel suo conflitto con la Russia.

Nonostante diversi Paesi europei abbiano ridotto la loro dipendenza dalle forniture energetiche russe, nell’ultimo anno il Giappone ha aumentato gli acquisti di gas naturale russo.

Il Giappone è l’unico Paese del G-7 a non fornire armi letali all’Ucraina e il premier giapponese Fumio Kishida è stato l’ultimo leader del G-7 a visitare l’Ucraina dopo l’invasione del Paese da parte della Russia.

Kishida ha dichiarato che il vertice del G-7 che ospiterà a maggio nella sua città natale, Hiroshima, mostrerà solidarietà all’Ucraina. Tokyo ha dichiarato di essere impegnata ad assistere Kiev, ma di non essere in grado di fornire armi a causa delle limitazioni alle esportazioni imposte da tempo dal governo, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal.

Il portavoce del governo, Hirokazu Matsuno, ha dichiarato: “Non permetteremo assolutamente l’atto oltraggioso della Russia e stiamo imponendo sanzioni severe alla Russia per fermare l’invasione russa il prima possibile”.

Gli acquisti di petrolio, benché esigui e consentiti dagli Stati Uniti, indicano una violazione della campagna guidata dagli Stati Uniti per imporre un tetto globale di 60 dollari al barile agli acquisti di greggio russo.

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il tetto funziona perché i Paesi acquirenti di petrolio, anche se non sono alleati degli Stati Uniti, spesso richiedono assicurazioni e altri servizi a società con sede negli Stati Uniti o in uno dei suoi alleati. Il G-7, l’Unione Europea e l’Australia hanno concordato regole che vietano a queste società di fornire servizi se un acquirente di petrolio russo paga più di 60 dollari al barile.

L’anno scorso, i Paesi hanno concordato un’esenzione dal tetto massimo fino al 30 settembre per il petrolio acquistato dal Giappone dal progetto russo Far East Sakhalin-2.

Un funzionario del Ministero giapponese dell’Economia, del Commercio e dell’Industria ha dichiarato che Tokyo intende garantire l’accesso al principale prodotto di Sakhalin-2, il gas naturale, che viene liquefatto e spedito in Giappone. Il funzionario ha dichiarato: “Lo abbiamo fatto con l’obiettivo di avere una catena di approvvigionamento energetico stabile in Giappone”.

Ha aggiunto che una piccola quantità di petrolio grezzo viene estratta insieme al gas naturale a Sakhlain-3 e deve essere venduta per garantire la continuazione della produzione di gas naturale liquefatto (LNG). Il prezzo è deciso dalle trattative tra le due parti”.

La Russia rappresenta circa un decimo delle importazioni di gas naturale del Giappone, la maggior parte del quale proviene da Sakhalin-2, e la quantità acquistata dal Giappone lo scorso anno è stata superiore del 4,6% rispetto all’anno precedente.

Ciò contrasta con la Germania, che prima della guerra dipendeva dalla Russia per il 55% delle sue importazioni di gas naturale e che è stata in grado di sopravvivere a un’interruzione totale rimodellando rapidamente la sua infrastruttura di importazione. L’economia tedesca è cresciuta più velocemente di quella giapponese l’anno precedente, sfidando le previsioni di una recessione tedesca causata dall’interruzione del gas russo.

Un professore del campus giapponese della Temple University, James Brown, ha dichiarato: “Non è che il Giappone non possa farcela senza questo. Possono farlo. Semplicemente non vogliono farlo”. “Il Giappone dovrebbe ritirarsi dai progetti di Sakhalin se vuole davvero sostenere l’Ucraina”.

Due società giapponesi, Mitsui & Co e Mitsubishi Corp, possiedono congiuntamente una quota del 22,5% di Sakhalin-2 e l’anno scorso hanno fatto pressioni per mantenerla, con il sostegno di Tokyo, quando il governo russo guidato dal presidente Vladimir Putin ha ristrutturato il progetto e insediato un nuovo operatore russo.

Secondo i registri commerciali ufficiali, nei primi due mesi di quest’anno il Giappone ha acquistato circa 748.000 barili di petrolio russo per un totale di 6,9 miliardi di yen. Al tasso di cambio attuale, ciò equivale a 52 milioni di dollari, ovvero poco meno di 70 dollari al barile. La Russia esporta milioni di barili di petrolio ogni giorno, quindi gli acquisti del Giappone rappresentano una parte trascurabile della produzione totale russa, come riporta il Wall Street Journal.

Il Giappone non produce quasi nessun combustibile fossile e dipende in larga misura da gas naturale e carbone importati per la produzione di elettricità. Le autorità hanno dichiarato che rinunciare all’accesso al gas naturale liquefatto russo sarebbe controproducente perché la Russia potrebbe vendere il GNL alla Cina.

Oltre al tetto ai prezzi, gli Stati Uniti e molti dei loro alleati hanno di fatto vietato l’importazione di petrolio russo nei loro Paesi.

Per mesi, i funzionari statunitensi hanno affermato che il tetto massimo è generalmente riuscito a ridurre le entrate petrolifere della Russia, stabilizzando al contempo i mercati petroliferi globali. Quest’anno, il bilancio della Russia ha sofferto a causa del calo del prezzo del suo greggio, mentre i benchmark petroliferi globali si sono stabilizzati a causa della lieve riduzione della produzione russa. Inoltre, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno imposto due ulteriori limitazioni di prezzo sui prodotti petroliferi russi.

Il Giappone ha perseguito legami energetici con la Russia sin dalla scomparsa dell’Unione Sovietica, in parte per favorire il suo obiettivo di recuperare un gruppo di isole settentrionali prese dalle forze sovietiche nel 1945.

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Arab crude oil provides 98.1 percent of Japan’s imports in February

Il greggio arabo fornisce il 98.1% delle importazioni giapponesi a febbraio

Tokyo:(Rahnuma) Le importazioni giapponesi di greggio dai Paesi arabi sono salite a febbraio a oltre il 98% delle importazioni totali, con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti che hanno fornito il 77.8% del totale, secondo i dati dell’Agenzia per le Risorse Naturali e l’Energia del Ministero giapponese dell’Economia, del Commercio e dell’Industria.

Le importazioni totali di petrolio del Giappone sono state pari a 76.364 milioni di barili a febbraio e la quota di petrolio arabo è stata del 98.1%, ovvero 74.910 milioni di barili, provenienti da sei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Bahrein e Oman.

L’Arabia Saudita è stata la principale fonte di importazioni di petrolio, fornendo 33.108 milioni di barili, pari al 43.4% del totale. Seguono gli Emirati Arabi Uniti con 26.244 milioni di barili (34.4%), il Kuwait con 8.077 milioni di barili (10.6%) e il Qatar con 4.917 milioni di barili (6.5%). Il Giappone ha importato circa 1.495 milioni di barili (2%) dal Sultanato dell’Oman e 1.007 milioni di barili (1.3%) dal Bahrein.

Il resto delle importazioni ha registrato un calo dagli Stati Uniti d’America (1.1%), mentre il Sud-est asiatico ha fornito lo 0.7%, il Brunei lo 0.4%, la Malesia lo 0.3% e l’Oceania lo 0.2% del totale.

Il dato più significativo di febbraio è l’assenza di importazioni di petrolio dalla Russia.

Inoltre, le aziende giapponesi hanno continuato a boicottare il petrolio iraniano, in ottemperanza alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti a quel Paese.

Le cifre sopra riportate rappresentano le quantità di petrolio che hanno raggiunto le raffinerie, i serbatoi e i magazzini nei porti giapponesi nel mese di febbraio. Il Giappone utilizza il petrolio per generare circa un terzo del suo fabbisogno energetico.

Pubblicato in: Armamenti, Banche Centrali, Cina, Geopolitica Mondiale, Russia, Stati Uniti

Usa terrorizzati. Il mondo stanco della guerra appoggia la proposta cinese di pace.

Giuseppe Sandro Mela.

2023-03-29.

Cina 767

«Blinken didn’t mention all the countries that have refused to take sides despite US urging.»

«Washington isn’t interested in peace.»

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In 2022, China had a GDP Ppp of $30,074,380 million, compared with $25,035,164 for the United States. [Source].

The Brics member countries had a GDP Ppp of 40.23% of world GDP in 2022, while the G7 countries, all liberal, had 29.08%.

Cina. Rifiuta di biasimare la Russia ed incolpa gli Stati Uniti di quanto accade in Ukraina.

Cina. Acre requisitoria agli Stati Uniti che hanno causato il conflitto russo-ukraino.

Svizzera. Le sanzioni causano l’esodo della ricchezza cinese. Banchieri disperati.

Usa. Malcelato terrore per l’accordo diplomatico tra Arabia Saudita ed Iran.

US House. Il Congressional Budget Office riporta che il debito pubblico tende al 195 del pil.

Brics surclassano economicamente i G7. 40.23% contro 29.08% del gdp mondiale.

Africa. Russia e Cina ne hanno quasi cacciati gli occidentali.

G20. Spaccato in due. I paesi del mondo libero condannano l’aggressione Nato alla Russia.

Usa . Debito pubblico. Liberal stupefatti ed increduli che i gop non si prostrino a baciare i piedi di Biden.

Guerra. Vince chi ha prodotto le scorte, non chi le produrrà. La potenza industriale è una arma.

Nato. Vuole tutto tranne che la pace in Ukraina.

Biden. La debolezza della leadership americana è un regalo a Cina, Russia ed Iran.

Eurasian Economic Union. Una realtà da 5.1 trilioni Usa Ppp.

Cina. Lo yuan non colpito da sanzioni occidentali sostiene il rublo russo.

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«US Fears a War-Weary World May Embrace China’s Ukraine Peace Bid. Even as Xi and Putin grow closer, China is finding a receptive audience for its broader diplomatic push around the globe. Xi Jinping’s meetings in Moscow with Vladimir Putin put the Biden administration in an uncomfortable position: on the sidelines as two adversaries discuss a Ukraine peace proposal that the US has deemed unacceptable»

«Privately, though, the meetings and the proposal have provoked a sense of unease within the administration, leading in turn to questions about the broader US approach to the two countries. US is worried about being backed into a corner over the Chinese proposal. Regardless of the US reservations, dismissing it outright could let China argue to other nations that are weary of the war – and of the economic damage it’s wreaking – that Washington isn’t interested in peace.»

«If the US spurns the agreement, China will likely ramp up messaging that the US is opposed to a cease-fire, that the US is opposed to the end of the war. The debate over China’s version of a peace plan highlights just one of the many uncomfortable realities that were brought home by Xi’s three-day visit this week to Moscow, which saw the Chinese leader greeted warmly by Putin.»

«The Biden administration has tried to keep China on the sidelines since the start of the Ukraine invasion, but the opposite appears to have happened. Even as Xi and Putin grow closer, China is finding a receptive audience for its broader diplomatic push around the globe.»

«This is no surprise – both countries have very different worldviews than our own. They may find common cause in opposing the worldview that we and so many other countries around the world seek to defend and advance. Blinken didn’t mention all the countries that have refused to take sides despite US urging.»

«China has shrugged off US sanctions over its companies’ partnership with Russia, bought oil from Iran’s regime in defiance of western demands and helped orchestrate a diplomatic detente between Saudi Arabia and Iran. Major global economies are refusing to choose between China and the West, arguing they don’t want a new Cold War. And a week ago, Honduras began the process of giving up its diplomatic ties with Taiwan in favour of economic links with China.»

 «The Biden administration has tried to make China confront the Ukraine crisis on the US’s terms, but Xi is now getting in on his terms. And that is probably causing some consternation within the administration.»

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US Fears a War-Weary World May Embrace China’s Ukraine Peace Bid.

Bloomberg. March 23, 2023.

Even as Xi and Putin grow closer, China is finding a receptive audience for its broader diplomatic push around the globe.

Xi Jinping’s meetings in Moscow with Vladimir Putin put the Biden administration in an uncomfortable position: on the sidelines as two adversaries discuss a Ukraine peace proposal that the US has deemed unacceptable.

US officials have publicly expressed deep scepticism about the Chinese idea, saying its call for a cease-fire would reward Moscow’s invasion by cementing its territorial gains. Privately, though, the meetings and the proposal have provoked a sense of unease within the administration, leading in turn to questions about the broader US approach to the two countries.

According to one administration official, who asked not to be identified discussing internal deliberations, the US is worried about being backed into a corner over the Chinese proposal. Regardless of the US reservations, dismissing it outright could let China argue to other nations that are weary of the war – and of the economic damage it’s wreaking – that Washington isn’t interested in peace.

If the US spurns the agreement, “China will likely ramp up messaging that the US is opposed to a cease-fire, that the US is opposed to the end of the war,” said Bonny Lin, a fellow at the Center for Strategic and International Studies who once served at the Pentagon. “There will be lots of ways in which China will try to spin whatever comes from the China-Russia meeting in a way that seeks to portray the US in negative light.”

The debate over China’s version of a peace plan highlights just one of the many uncomfortable realities that were brought home by Xi’s three-day visit this week to Moscow, which saw the Chinese leader greeted warmly by Putin. The two countries pledged to deepen their partnership even further.

The Biden administration has tried to keep China on the sidelines since the start of the Ukraine invasion, but the opposite appears to have happened. Even as Xi and Putin grow closer, China is finding a receptive audience for its broader diplomatic push around the globe.

At a Senate hearing on Wednesday, Senator Jeff Merkley asked Secretary of State Antony Blinken to respond to what the Oregon Democrat called a “three-day bro-fest with Putin and Xi celebrating authoritarian power.” Blinken acknowledged it was a continuation of the two nations’ pledge right before the war of a “partnership with no limits.”

“This is no surprise – both countries have very different worldviews than our own,” Blinken said. “They may find common cause in opposing the worldview that we and so many other countries around the world seek to defend and advance.”

Blinken didn’t mention all the countries that have refused to take sides despite US urging.

China has shrugged off US sanctions over its companies’ partnership with Russia, bought oil from Iran’s regime in defiance of western demands and helped orchestrate a diplomatic detente between Saudi Arabia and Iran. Major global economies are refusing to choose between China and the West, arguing they don’t want a new Cold War.

And a week ago, Honduras began the process of giving up its diplomatic ties with Taiwan in favour of economic links with China.

The move was “a sign of my determination to fulfil the government plan and expand frontiers freely in harmony with the nations of the world,” President Xiomara Castro said in a tweet.

                         Worsening Ties

It’s all taking place as US ties to China, which began to fray with former President Donald Trump’s trade war, keep getting worse. That was underscored by the furore over the alleged Chinese spy balloon that provoked a national outcry in the US and angry recriminations between Washington and Beijing.

That episode eroded an attempt to stabilize the relationship late last year with an in-person summit between President Joe Biden and Xi in Indonesia. It led to a tense meeting between Secretary of State Antony Blinken and top Chinese diplomat Wang Yi in Munich, and Xi later warned of “comprehensive containment and suppression by Western countries led by the US.”

US officials argue that their sharp words for Beijing are having an impact. They say US public warnings that China might provide lethal assistance to Russia led Xi’s government to think twice about the idea. The US also continues to supply Ukraine with weapons – it announced $325 million in new munitions this week – in concert with European nations that are coming up with new supply plans of their own.

The Biden administration has tried to make China confront the Ukraine crisis on the US’s terms, but “Xi is now getting in on his terms,” said Christopher K. Johnson, president of China Strategies Group, a political risk consultancy. “And that, I think, is probably causing some consternation within the administration.”

With Washington constantly taking a hawkish hard line on China, some analysts believe that China may have effectively given up on a better relationship with the US anytime soon.

The less China sees an opportunity to work with the US, “the more likely they are to pursue those other avenues and options,” said Melanie Sisson, a foreign policy fellow at the Brookings Institution. “And in many ways and places, that will mean trying to fray US relationships with other countries.”

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Nel 2022 la Cina aveva un pil Ppp di 30,074,380 milioni di dollari, contro i 25,035,164 degli Stati Uniti. [Fonte].

I paesi aderenti ai Brics avevano nel 2022 un pil Ppp del 40.23% del pil mondiale, mentre i paesi del G7, tutti liberal, del 29.08%.

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Gli Stati Uniti temono che un mondo impaurito dalla guerra possa accogliere l’offerta di pace cinese per l’Ucraina. Anche se Xi e Putin si avvicinano, la Cina sta trovando un pubblico ricettivo per la sua più ampia spinta diplomatica in tutto il mondo. Gli incontri di Xi Jinping a Mosca con Vladimir Putin hanno messo l’amministrazione Biden in una posizione scomoda: in disparte mentre i due avversari discutono una proposta di pace per l’Ucraina che gli Stati Uniti hanno ritenuto inaccettabile.

In privato, però, gli incontri e la proposta hanno provocato un senso di disagio all’interno dell’amministrazione, portando a sua volta a interrogarsi sul più ampio approccio degli Stati Uniti ai due Paesi. Gli Stati Uniti temono di essere messi all’angolo dalla proposta cinese. A prescindere dalle riserve degli Stati Uniti, rifiutarla del tutto potrebbe permettere alla Cina di sostenere, di fronte ad altre nazioni stanche della guerra – e dei danni economici che sta causando – che Washington non è interessata alla pace.

Se gli Stati Uniti rifiutano l’accordo, la Cina probabilmente aumenterà il messaggio che gli Stati Uniti si oppongono al cessate il fuoco, che gli Stati Uniti si oppongono alla fine della guerra. Il dibattito sulla versione cinese di un piano di pace evidenzia solo una delle tante realtà scomode che sono state portate a casa dalla visita di tre giorni di Xi a Mosca questa settimana, che ha visto il leader cinese accolto calorosamente da Putin.

L’amministrazione Biden ha cercato di tenere la Cina in disparte fin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, ma sembra che sia successo il contrario. Anche se Xi e Putin si stanno avvicinando, la Cina sta trovando un pubblico ricettivo per la sua più ampia spinta diplomatica in tutto il mondo.

Non è una sorpresa: entrambi i Paesi hanno visioni del mondo molto diverse dalle nostre. Potrebbero trovare una causa comune nell’opporsi alla visione del mondo che noi e tanti altri Paesi nel mondo cerchiamo di difendere e far progredire. Blinken non ha menzionato tutti i Paesi che hanno rifiutato di schierarsi nonostante le sollecitazioni degli Stati Uniti.

La Cina si è scrollata di dosso le sanzioni statunitensi per la partnership delle sue aziende con la Russia, ha acquistato petrolio dal regime iraniano in barba alle richieste occidentali e ha contribuito a orchestrare una distensione diplomatica tra Arabia Saudita e Iran. Le principali economie globali si rifiutano di scegliere tra Cina e Occidente, sostenendo di non volere una nuova guerra fredda. Una settimana fa, l’Honduras ha avviato il processo di abbandono dei legami diplomatici con Taiwan a favore di legami economici con la Cina.

 L’amministrazione Biden ha cercato di far sì che la Cina affrontasse la crisi ucraina alle condizioni degli Stati Uniti, ma Xi sta ora entrando in gioco alle sue condizioni. E questo probabilmente sta causando una certa costernazione all’interno dell’amministrazione.

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US Fears a War-Weary World May Embrace China’s Ukraine Peace Bid.

Gli Stati Uniti temono che un mondo impaurito dalla guerra possa accogliere l’offerta di pace della Cina per l’Ucraina.

Bloomberg. 23 marzo 2023.

Anche se Xi e Putin si stanno avvicinando, la Cina sta trovando un pubblico ricettivo per la sua più ampia spinta diplomatica in tutto il mondo.

Gli incontri di Xi Jinping a Mosca con Vladimir Putin hanno messo l’amministrazione Biden in una posizione scomoda: in disparte mentre i due avversari discutono una proposta di pace per l’Ucraina che gli Stati Uniti hanno ritenuto inaccettabile.

I funzionari statunitensi hanno espresso pubblicamente un profondo scetticismo nei confronti dell’idea cinese, affermando che la richiesta di un cessate il fuoco premierebbe l’invasione di Mosca cementando le sue conquiste territoriali. In privato, però, gli incontri e la proposta hanno provocato un senso di disagio all’interno dell’amministrazione, portando a sua volta a interrogarsi sull’approccio più ampio degli Stati Uniti nei confronti dei due Paesi.

Secondo un funzionario dell’amministrazione, che ha chiesto di non essere identificato per discutere delle deliberazioni interne, gli Stati Uniti temono di essere messi all’angolo dalla proposta cinese. A prescindere dalle riserve degli Stati Uniti, rifiutarla del tutto potrebbe permettere alla Cina di sostenere, di fronte ad altre nazioni stanche della guerra e dei danni economici che sta causando, che Washington non è interessata alla pace.

Se gli Stati Uniti rifiutano l’accordo, “la Cina probabilmente aumenterà il messaggio che gli Stati Uniti si oppongono al cessate il fuoco, che gli Stati Uniti si oppongono alla fine della guerra”, ha dichiarato Bonny Lin, ricercatore presso il Center for Strategic and International Studies che in passato ha lavorato al Pentagono. “Ci saranno molti modi in cui la Cina cercherà di girare qualsiasi cosa venga fuori dall’incontro Cina-Russia in modo da ritrarre gli Stati Uniti in una luce negativa”.

Il dibattito sulla versione cinese di un piano di pace evidenzia solo una delle molte realtà scomode che sono state portate a casa dalla visita di tre giorni di Xi a Mosca, che ha visto il leader cinese accolto calorosamente da Putin. I due Paesi si sono impegnati ad approfondire ulteriormente la loro partnership.

L’amministrazione Biden ha cercato di tenere la Cina in disparte dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, ma sembra che sia accaduto il contrario. Anche se Xi e Putin si stanno avvicinando, la Cina sta trovando un pubblico ricettivo per la sua più ampia spinta diplomatica in tutto il mondo.

Nel corso di un’audizione al Senato, mercoledì, il senatore Jeff Merkley ha chiesto al Segretario di Stato Antony Blinken di rispondere a quella che il democratico dell’Oregon ha definito una “festa dei fratelli di tre giorni con Putin e Xi che celebrano il potere autoritario”. Blinken ha riconosciuto che si tratta di una continuazione dell’impegno delle due nazioni, subito prima della guerra, di una “partnership senza limiti”.

“Non è una sorpresa: entrambi i Paesi hanno visioni del mondo molto diverse dalle nostre”, ha detto Blinken. “Potrebbero trovare una causa comune nell’opporsi alla visione del mondo che noi e tanti altri Paesi nel mondo cerchiamo di difendere e portare avanti”.

Blinken non ha menzionato tutti i Paesi che hanno rifiutato di schierarsi nonostante le sollecitazioni degli Stati Uniti.

La Cina si è scrollata di dosso le sanzioni statunitensi sulla partnership delle sue aziende con la Russia, ha acquistato petrolio dal regime iraniano in barba alle richieste occidentali e ha contribuito a orchestrare una distensione diplomatica tra Arabia Saudita e Iran. Le principali economie globali si rifiutano di scegliere tra Cina e Occidente, sostenendo di non volere una nuova guerra fredda.

Una settimana fa, l’Honduras ha avviato il processo di abbandono dei legami diplomatici con Taiwan a favore di legami economici con la Cina.

La mossa è “un segno della mia determinazione a realizzare il piano del governo e ad espandere liberamente le frontiere in armonia con le nazioni del mondo”, ha dichiarato il presidente Xiomara Castro in un tweet.

                         Peggioramento dei legami

Tutto questo avviene mentre i legami degli Stati Uniti con la Cina, che hanno iniziato a deteriorarsi con la guerra commerciale dell’ex presidente Donald Trump, continuano a peggiorare. Ciò è stato sottolineato dal furore per il presunto pallone spia cinese che ha provocato un’indignazione nazionale negli Stati Uniti e recriminazioni furiose tra Washington e Pechino.

L’episodio ha vanificato il tentativo di stabilizzare le relazioni alla fine dell’anno scorso con un vertice di persona tra il presidente Joe Biden e Xi in Indonesia. L’incontro tra il Segretario di Stato Antony Blinken e l’alto diplomatico cinese Wang Yi a Monaco di Baviera è stato molto teso e Xi ha poi messo in guardia da “un contenimento e una soppressione completi da parte dei Paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti”.

I funzionari statunitensi sostengono che le loro parole taglienti nei confronti di Pechino stanno avendo un impatto. Dicono che gli avvertimenti pubblici degli Stati Uniti sul fatto che la Cina potrebbe fornire assistenza letale alla Russia hanno indotto il governo di Xi a ripensarci. Gli Stati Uniti continuano inoltre a rifornire l’Ucraina di armi – questa settimana hanno annunciato 325 milioni di dollari in nuove munizioni – di concerto con le nazioni europee che stanno elaborando nuovi piani di fornitura.

L’amministrazione Biden ha cercato di far sì che la Cina affrontasse la crisi ucraina alle condizioni degli Stati Uniti, ma “Xi sta entrando in gioco alle sue condizioni”, ha dichiarato Christopher K. Johnson, presidente del China Strategies Group, una società di consulenza sui rischi politici. “E questo, credo, sta probabilmente causando una certa costernazione all’interno dell’amministrazione”.

Con Washington che adotta costantemente una linea dura nei confronti della Cina, alcuni analisti ritengono che la Cina possa aver rinunciato a migliorare le relazioni con gli Stati Uniti in tempi brevi.

Quanto meno la Cina vede l’opportunità di lavorare con gli Stati Uniti, “tanto più è probabile che persegua altre strade e opzioni”, ha affermato Melanie Sisson, ricercatrice di politica estera presso la Brookings Institution. “E in molti modi e luoghi, ciò significherà cercare di incrinare le relazioni degli Stati Uniti con altri Paesi”.

Pubblicato in: Armamenti, Devoluzione socialismo, Geopolitica Mondiale

Soros. India. Questa è un’altra guerra che ha già perso.

Giuseppe Sandro Mela.

2023-02-22.

Arcangelo Michele 001

«This is another war Soros has already lost.»

Una traduzione italiana è riportata in calce.

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«Soros has already lied that India is about to cancel the citizenship of millions of Muslims. He is mistaking a civilisational revival for narrow nationalism and waging a war against an idea which does not exist.»

«In his abiding personal mission to establish open societies across the world, billionaire George Soros has strangely attacked open societies like the US, India, and parts of Europe but has allied with the closed and cloistered ideologies like the far-Left and Islamism. It is the rich man’s ego, his naive and dangerous pursuit of shaping world politics by even steamrolling the will of a people if needed, and his own deep intellectual contradictions and compromises that have caused him to fail again and again.»

«Soros’s interest in India is long and rumoured to be prodded by pro-Pakistan, anti-Russia elements of America’s Deep State. It is clear from his recent proclamations that the spectacular rise of the nation under Narendra Modi and guided by Hindutva troubles him. In fact, any proud and prosperous nation — from the US to Israel, and from Russia to his own country of origin Hungary — bothers him. The new India clashes with his idea of a stateless, chaotic world in which carrion-eaters like him benefit by backing puppet regimes and militias.»

«But Soros’s undoing lies chiefly in his own contradictions. He is a capitalist with a vision of controlled capitalism and philanthropy. But he creates and works through the worst far-Left anarchists and even groups accused of terror. His hand is seen in BLM to PFI. He has made Islamism and Communism, two most authoritarian and violent ideologies, allies in his vision to build a more “open” world. What kind of open society can be built with groups espousing such violent and closed ideologies?»

«By contrast, the essential spirit of Hinduism was inclusivist, and not exclusivist, by definition. Such a spirit must seek to abolish and not build boundaries. Soros has already lied that India is about to cancel the citizenship of millions of Muslims. He is mistaking a civilisational revival for narrow nationalism and waging a war against an idea which does not exist. He is also up against a leadership core like Modi, Amit Shah, Ajit Doval, and S Jaishankar who do not act under provocation. »

«This is another war Soros has already lost.»

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Why George Soros is bound to lose his dirty war against India.

Soros has already lied that India is about to cancel the citizenship of millions of Muslims. He is mistaking a civilisational revival for narrow nationalism and waging a war against an idea which does not exist.

February 19, 2023.

In his abiding personal mission to establish open societies across the world, billionaire George Soros has strangely attacked open societies like the US, India, and parts of Europe but has allied with the closed and cloistered ideologies like the far-Left and Islamism. It is the rich man’s ego, his naive and dangerous pursuit of shaping world politics by even steamrolling the will of a people if needed, and his own deep intellectual contradictions and compromises that have caused him to fail again and again.

Soros’s interest in India is long and rumoured to be prodded by pro-Pakistan, anti-Russia elements of America’s Deep State. It is clear from his recent proclamations that the spectacular rise of the nation under Narendra Modi and guided by Hindutva troubles him.

In fact, any proud and prosperous nation — from the US to Israel, and from Russia to his own country of origin Hungary — bothers him. The new India clashes with his idea of a stateless, chaotic world in which carrion-eaters like him benefit by backing puppet regimes and militias.

He has been outlawed in Hungary, Russia, Turkey, Malaysia and other places. India has put his Open Society Foundation on the ‘prior permission’ list of incoming foreign funds after his hostile 2020 speech in which he pledged $1 billion to effect regime change in nations with rising nationalism like India.

Funding and involvement of OSF in anti-CAA and anti-farm laws protests have been reported widely. Salil Shetty, the vice president of OSF India, has walked with Congress scion Rahul Gandhi during the recent Bharat Jodo Yatra.

Soros wants to overturn the repeated and resounding verdict of Indian democracy by creating chaos from the streets to the stock markets. His idea of open society is fired by the teachings of his mentor, philosopher Karl Popper, a communist who later turned against all totalitarian instincts and fiercely criticised western philosophical heavyweights from Plato to Hegel and Marx to Freud.

But Soros’s undoing lies chiefly in his own contradictions. He is a capitalist with a vision of controlled capitalism and philanthropy. But he creates and works through the worst far-Left anarchists and even groups accused of terror. His hand is seen in BLM to PFI. He has made Islamism and Communism, two most authoritarian and violent ideologies, allies in his vision to build a more “open” world. What kind of open society can be built with groups espousing such violent and closed ideologies?

Besides, Soros does not understand Bharat. He looks at it from his blinkered notion of the western nation-state. He is pushing against an idea that does not exist here.

“The concept of nation was, in fact, Girilal Jain argued, alien to the Hindu temperament and genius. It [nation] was essentially semitic in character, even if it arose in western Europe in the eighteenth century when it had successfully shaken off the Church’s stranglehold. For, like Christianity and Islam, it too emphasised the exclusion of those who did not belong to the charmed circle (territorial, linguistic or ethnic) as much as it emphasised the inclusion of those who fell within the circle,” scholar Meenakshi Jain writes in the introduction to her father Girilal Jain’s book, The Hindu Phenomenon. “By contrast, the essential spirit of Hinduism was inclusivist, and not exclusivist, by definition. Such a spirit must seek to abolish and not build boundaries. That is why he held that the Hindus could not sustain an anti-Muslim feeling except temporarily and, that too, under provocation.”

Soros has already lied that India is about to cancel the citizenship of millions of Muslims. He is mistaking a civilisational revival for narrow nationalism and waging a war against an idea which does not exist. He is also up against a leadership core like Modi, Amit Shah, Ajit Doval, and S Jaishankar who do not act under provocation. They have the ‘Stithpragya’ or a zero-emotion, even-intellect approach to crisis and solutions.

This is another war Soros has already lost.

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                         Soros ha già mentito sul fatto che l’India sta per cancellare la cittadinanza di milioni di musulmani. Sta scambiando una rinascita civile per un gretto nazionalismo e sta conducendo una guerra contro un’idea che non esiste.

                         Nella sua costante missione personale di creare società aperte in tutto il mondo, il miliardario George Soros ha stranamente attaccato società aperte come gli Stati Uniti, l’India e parte dell’Europa, ma si è alleato con ideologie chiuse e claustrali come l’estrema sinistra e l’islamismo. È l’ego del ricco uomo, la sua ingenua e pericolosa ricerca di plasmare la politica mondiale anche schiacciando la volontà di un popolo, se necessario, e le sue profonde contraddizioni intellettuali e i suoi compromessi che lo hanno portato a fallire ancora e ancora.

                         L’interesse di Soros per l’India si dice sia stato a lungo sollecitato da elementi pro-Pakistan e anti-Russia dello Stato profondo americano. È chiaro dai suoi recenti proclami che la spettacolare ascesa della nazione guidata da Narendra Modi e dall’Hindutva lo preoccupa. In realtà, qualsiasi nazione orgogliosa e prospera – dagli Stati Uniti a Israele, dalla Russia al suo Paese d’origine, l’Ungheria – lo disturba. La nuova India si scontra con la sua idea di un mondo caotico e senza Stato, in cui i mangiatori di carogne come lui traggono vantaggio sostenendo regimi fantoccio e milizie.

                         Ma la rovina di Soros risiede soprattutto nelle sue stesse contraddizioni. È un capitalista con una visione di capitalismo controllato e filantropia. Ma crea e lavora attraverso i peggiori anarchici di estrema sinistra e persino gruppi accusati di terrorismo. La sua mano si vede nel BLM e nel PFI. Ha reso l’islamismo e il comunismo, le due ideologie più autoritarie e violente, alleati nella sua visione di costruire un mondo più aperto. Che tipo di società aperta si può costruire con gruppi che sposano ideologie così violente e chiuse?.

                         Al contrario, lo spirito essenziale dell’Induismo era inclusivo, e non esclusivista, per definizione. Tale spirito deve cercare di abolire e non di costruire confini. Soros ha già mentito sul fatto che l’India sta per cancellare la cittadinanza di milioni di musulmani. Sta scambiando una rinascita civile per un gretto nazionalismo e sta conducendo una guerra contro un’idea che non esiste. Inoltre, si scontra con un nucleo di leader come Modi, Amit Shah, Ajit Doval e S. Jaishankar che non agiscono sotto provocazione.

                         Questa è un’altra guerra che Soros ha già perso.

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Perché George Soros è destinato a perdere la sua sporca guerra contro l’India.

Soros ha già mentito sul fatto che l’India sta per cancellare la cittadinanza di milioni di musulmani. Sta scambiando una rinascita civile per un gretto nazionalismo e sta conducendo una guerra contro un’idea che non esiste.

19 febbraio 2023.

Nella sua costante missione personale di creare società aperte in tutto il mondo, il miliardario George Soros ha stranamente attaccato società aperte come gli Stati Uniti, l’India e parte dell’Europa, ma si è alleato con ideologie chiuse e claustrali come l’estrema sinistra e l’islamismo. Sono l’ego di questo ricco uomo, la sua ingenua e pericolosa ricerca di plasmare la politica mondiale anche schiacciando la volontà di un popolo, se necessario, e le sue profonde contraddizioni intellettuali e i suoi compromessi che lo hanno portato a fallire ancora e ancora.

Si dice che l’interesse di Soros per l’India sia stato a lungo sollecitato da elementi pro-Pakistan e anti-Russia dello Stato profondo americano. Dai suoi recenti proclami è chiaro che la spettacolare ascesa della nazione guidata da Narendra Modi e dall’Hindutva lo preoccupa.

In realtà, qualsiasi nazione orgogliosa e prospera – dagli Stati Uniti a Israele, dalla Russia al suo Paese d’origine, l’Ungheria – lo disturba. La nuova India si scontra con la sua idea di un mondo caotico e senza Stato, in cui i mangiatori di carogne come lui traggono vantaggio sostenendo regimi fantoccio e milizie.

È stato messo fuori legge in Ungheria, Russia, Turchia, Malesia e altri Paesi. L’India ha inserito la sua Open Society Foundation nell’elenco dei fondi stranieri in entrata, dopo il suo discorso ostile del 2020, in cui si è impegnato a stanziare un miliardo di dollari per attuare un cambio di regime in nazioni con un nazionalismo crescente come l’India.

Il finanziamento e il coinvolgimento della OSF nelle proteste contro la CAA e le leggi agricole sono stati ampiamente riportati. Salil Shetty, vicepresidente di OSF India, ha camminato con il rampollo del Congresso Rahul Gandhi durante il recente Bharat Jodo Yatra.

Soros vuole ribaltare il ripetuto e clamoroso verdetto della democrazia indiana creando il caos dalle strade ai mercati azionari. La sua idea di società aperta si ispira agli insegnamenti del suo mentore, il filosofo Karl Popper, un comunista che in seguito si oppose a tutti gli istinti totalitari e criticò ferocemente i pesi massimi della filosofia occidentale, da Platone a Hegel, da Marx a Freud.

Ma la rovina di Soros risiede soprattutto nelle sue stesse contraddizioni. È un capitalista con una visione di capitalismo controllato e filantropico. Ma crea e lavora attraverso i peggiori anarchici di estrema sinistra e persino gruppi accusati di terrorismo. La sua mano si vede nel BLM e nel PFI. Ha reso l’islamismo e il comunismo, le due ideologie più autoritarie e violente, alleati nella sua visione di costruire un mondo più “aperto”. Che tipo di società aperta si può costruire con gruppi che sposano ideologie così violente e chiuse?

Inoltre, Soros non capisce Bharat. Lo guarda dal suo concetto ottuso di Stato-nazione occidentale. Sta spingendo contro un’idea che qui non esiste.

“Il concetto di nazione, infatti, sosteneva Girilal Jain, era estraneo al temperamento e al genio indù. Esso [la nazione] ha un carattere essenzialmente semitico, anche se è sorto nell’Europa occidentale nel XVIII secolo, quando si è scrollato di dosso con successo la morsa della Chiesa. Infatti, come il cristianesimo e l’islam, anch’essa enfatizzava l’esclusione di coloro che non appartenevano al cerchio incantato (territoriale, linguistico o etnico) tanto quanto enfatizzava l’inclusione di coloro che rientravano nel cerchio”, scrive la studiosa Meenakshi Jain nell’introduzione al libro di suo padre Girilal Jain, The Hindu Phenomenon. “Al contrario, lo spirito essenziale dell’Induismo era inclusivo, e non esclusivista, per definizione. Tale spirito deve cercare di abolire e non di costruire confini. Ecco perché riteneva che gli indù non potessero sostenere un sentimento anti-musulmano se non temporaneamente e, per di più, sotto provocazione”.

Soros ha già mentito sul fatto che l’India sta per cancellare la cittadinanza di milioni di musulmani. Sta scambiando una rinascita civile per un gretto nazionalismo e sta conducendo una guerra contro un’idea che non esiste. Inoltre, si scontra con un nucleo di leader come Modi, Amit Shah, Ajit Doval e S Jaishankar che non agiscono sotto provocazione. Hanno la “Stithpragya” o un approccio alle crisi e alle soluzioni privo di emozioni e di intelligenza.

Questa è un’altra guerra che Soros ha già perso.