Pubblicato in: Criminalità Organizzata

Corriere della Sera. Da ‘Viva il Duce’ a ‘Viva Soros’. I leccaculi.

Giuseppe Sandro Mela.

2017-09-30.

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Per sua stessa ammissione, Il Corriere della Sera, Rcs per l’esattezza,

«nel 2015 aveva chiuso con una perdita di 175,7 milioni».

Non è facile trovare un patrono che ripiani perdite di quel calibro e poi non pretenda la gratitudine dei giornalisti strappati, almeno momentaneamente, dai sagrati delle Chiese.

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Il Corriere della Sera è sempre stato un giornale portavoce del potere, del potere che conta.

Parole forti, diranno alcuni.

Ecco qua.

Questa è una pagina riassuntiva dell’Archivio Storico del Corriere della Sera.

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I titoli sono già tutti un programma.

Non sufficit?

Ci mancherebbe.

Eccovi una seconda fotocopia.

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«Con fiammeggiante volontà di lotta e di gloria le moltitudini acclamano al Sovrano e al Duce»

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«Enorme ripercussione mondiale dell’intervento italiano»

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«Vibranti dimostrazioni del popolo di Albania»

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Leggetevi gli articoli: per usare un termine politicamente corretto, più leccaculi di così non si sarebbe mai potuto essere.

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Sono passati settanta anni abbondanti.

Ong. Tempi durissimi. India avvia inchiesta sulla Bloomberg Philanthropies.

Soros George. Uno stato negli stati. Ecco i suoi principali voivodati.

Cina. Una nuova legge sulle Ong (Ngo).

Orban contro Soros. Nuova legge sulle Ong.

Racket delle ong. Questo è il titolo del Gatestone Institute.

More Than 7,000 Foreign NGOs in China: Only 91 Registered So Far

NGO Head First Russian Charged Under ‘Foreign Agent’ Law

Germania ed Austria accusano le Ogn di traffico di esseri umani.

Procura di Catania. Ong in combutta con gli scafisti.

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Cambia la persona da venerare con religiosa prostrazione, ma lo stile rimane sempre lo stesso.

Alleghiamo in calce l’ultimo articolo, ancora grondante della saliva del giornalista.

Chissà a chi mai leccheranno la rima anale quando l’astro di Mr Soros sarà tramontato come quello del Duce.


Corriere. 2017-09-29. Soros nemico pubblico in Ungheria La caccia alle streghe di Orbán

Il governo promuove una consultazione su un inesistente piano migranti del miliardario che prevederebbe l’ingresso di un milione di stranieri all’anno nel Paese

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La lettera che nei prossimi giorni il governo farà recapitare a ogni famiglia ungherese mostra la foto di un uomo di una certa età. È avvolto in una luce fredda e scura che rende sinistro il suo sorriso. Il testo recita: «Questo è George Soros, uno dei più influenti miliardari al mondo. E questo è il suo pericoloso piano: smantellamento della barriera ai confini; insediamento di un milione di migranti all’anno in Ungheria; nove milioni di forint (circa 30 mila euro, ndr) in sussidi pubblici per ogni migrante». Quindi, ultimata la presentazione, arriva la domanda agli elettori: «Cosa ne pensi? Consultazione nazionale sul piano Soros».

Non importa che nessun piano del genere sia mai esistito e Soros non abbia mai detto niente che potesse indurre gli ungheresi a sospettarlo. L’uomo che oggi figura al 29esimo posto della lista dei più ricchi al mondo secondo Forbes, dopo aver donato almeno otto miliardi di dollari per sostenere la transizione verso la democrazia e i diritti umani in un gran numero di Paesi, ha fatto qualcosa di diverso: da anni cerca di convincere gli europei ad accogliere i rifugiati in arrivo e a distribuirli in tutti i Paesi dell’Unione.

Questo è bastato al premier ungherese Viktor Orbán per fare di Soros il proprio fantasma. O, più precisamente, per farne il fantasma che l’uomo forte di Budapest agita di fronte agli ungheresi nella speranza di puntellare la propria popolarità. Nei mesi scorsi una campagna del governo di Budapest lo ritraeva in un poster di uno stile che richiama la propaganda antisemita fra le due guerre. La scritta non era da meno: «Non lasciate a George Soros l’ultima risata!».

Per il finanziere e filantropo, che oggi ha 87 anni, non è una novità. Da un quarto di secolo, da quando il suo successo come investitore è tale che statisticamente capita una volta ogni 473 milioni di tentativi, si trova sempre qualcuno disposto ad accusarlo di qualche complotto. Ma questa era dei nuovi nazionalismi degli uomini forti nei Paesi deboli sta trasformando questo riflesso in una sorta di industria politica internazionale.

Solo nell’ultimo anno Soros è stato accusato di aver tramato per sovvertire il governo in Macedonia e in Russia, aver finanziato le proteste contro Donald Trump negli Stati Uniti, e aver inventato un inesistente attacco alle armi chimiche in Siria. Sempre lui, avrebbe finanziato i battelli delle organizzazioni non governative che prendevano in carico rifugiati e migranti nel Mediterraneo per portarli in Italia (anche questo è stato più volte smentito). Le ramificazioni dell’industria del complotto non finiscono qui. Poiché alcuni dei progetti sostenuti da Soros riguardano la difesa dei diritti dei palestinesi, anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo accusa di complottare. All’inizio di questo mese il figlio di Netanyahu, Yair, ha finito per pubblicare sul suo profilo Facebook un’immagine del miliardario che tiene appeso il mondo alla sua canna da pesca di fronte a una sorta di rettile mostruoso. Yair è stato costretto a cancellare il fotomontaggio quando Haaretz, il quotidiano israeliano, ne ha sottolineato la somiglianza con le immagini della propaganda antisemita degli anni ’30. Era già tardi: l’ex leader del Ku Klux Klan David Duke aveva già rilanciato quel post.

Ricco, internazionalista, sostenitore delle società aperte, impegnato per i rifugiati — per di più ebreo — Soros è il nemico perfetto. Orbán sembra odiarlo con la determinazione che si riserva ai nemici intimi e in effetti lo conosce da tempo. Non solo perché Soros è nato in Ungheria, da dove è fuggito nei primi anni di socialismo reale dopo essere scampato ai nazisti. Ma anche perché Orbán ha studiato a Oxford grazie a una delle tante borse di studio offerte dal filantropo.

Ora il governo di Budapest cerca di chiudere l’Università dell’Europa centrale che Soros ha finanziato, rende la vita difficile alle associazioni indipendenti non allineate e soffia sul fuoco di un razzismo ormai esplicito. L’Europa e il Partito popolare europeo, al quale Orbán appartiene, tollerano spiegando che senza di lui la deriva ungherese sarebbe persino peggiore. La domanda che resta è fino a dove può portare questo argomento.