Pubblicato in: Devoluzione socialismo, Ideologia liberal, Unione Europea

Ispra. Inquinamento. Riscaldamento 38%, auto 9%, energia 4.8%.

Giuseppe Sandro Mela.

2019-03-02.

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L’Ispra è l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale è un ente pubblico di ricerca italiano, istituito con la legge n. 133/2008, e sottoposto alla vigilanza del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

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«Quando in una città i livelli di polveri sottili salgono oltre le soglie di pericolo, i sindaci intervengono con il blocco del traffico»

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«Una misura che servirà a poco, stando all’ultima analisi dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale»

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«le voci più «pesanti» dell’inquinamento da particolato PM 2,5 sono il riscaldamento e gli allevamenti intensivi di animali, rispettivamente con il 38% e il 15,1%.»

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«I veicoli sono al quarto posto con il 9%, precedute dall’industria con l’11,1%.»

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Cerchiamo di raccapezzarci un pochino.

Per decine di anni le automobili sono state demonizzate come perfido strumento di inquinamento atmosferico. Per non parlare poi di quelle spinte da motori diesel.

L’industria tedesca sta rosolando alla fiamma ambientalista alimentata dal Dieselgate. e tutto perché a quanto sembrerebbe non avrebbero letto la relazione dell’Ispra.

Chi fosse rimasto allo slogan che le centrali elettriche a carbone inquinano, si adegui immediatamente: la produzione di energia rende conto solo del 4.8% dell’inquinamento globale, quella terrifica causa «nel 2016 circa 4,2 milioni di persone al mondo sono morte prematuramente».

Le grandi fonti di inquinamento sarebbero due: il riscaldamento per il 38% e gli allevamenti animali per il 15.1%.

Ci si aspetta di conseguenza che il nostro buon Governo proibisca il riscaldamento domestico e metta il bando la carne di ogni tipo: gli allevamenti di animali dovrebbero essere proibiti sul suolo italico. Senza dimenticarsi di proibire la tenuta di cani, gatti e canarini in gabbia: veri e propri untori.

E cosa mai dire dei sessanta milioni di italiani che mediamente una vola al giorno depositano feci inquinanti e diverse volte al giorno svuotano la vescica? Sono grosso modo diciotto milioni di kilogrammi di sterco umano ogni giorno che Dio manda. A presto qualcuno verrà a proporre lo sterminio degli italiani.


Corriere. 2019-02-27. Inquinamento: il 50% è prodotto dai riscaldamenti e allevamenti intensivi

Quando in una città i livelli di polveri sottili salgono oltre le soglie di pericolo, i sindaci intervengono con il blocco del traffico. Una misura che servirà a poco, stando all’ultima analisi dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Secondo lo studio, infatti, le voci più «pesanti» dell’inquinamento da particolato PM 2,5 sono il riscaldamento e gli allevamenti intensivi di animali, rispettivamente con il 38% e il 15,1%. I veicoli sono al quarto posto con il 9%, precedute dall’industria con l’11,1%.

Perché l’Ispra ha studiato il PM 2,5?

Il particolato, PM dall’inglese Particulate Matter, è l’insieme delle sostanze sospese nell’aria che hanno una dimensione fino a 500 nanometri (un nanometro è la milionesima parte di un millimetro), considerate gli inquinanti di maggior impatto nelle aree urbane. Si tratta di fibre, particelle carboniose, metalli, silice, inquinanti liquidi e solidi che finiscono in atmosfera per cause naturali o per le attività dell’uomo. Le fonti naturali (terra, sale marino, pollini, eruzioni vulcaniche) ci sono sempre state, quelle dovute all’uomo (traffico, riscaldamento, processi industriali, inceneritori) sono aumentate negli ultimi decenni con la sovrappopolazione e i processi di industrializzazione, sommandosi alle prime. Le polveri più pericolose sono quelle con diametro inferiore a 10 nanometri , il cosiddetto PM10, il cui 60% è composto da particelle con dimensioni inferiori a 2,5 nanometri. Il PM 2,5 è la frazione più leggera, quella che rimane più a lungo nell’atmosfera prima di cadere al suolo e che noi respiriamo maggiormente. Sono proprio queste particelle a entrare più in profondità nei nostri polmoni, aumentando il rischio di patologie gravi: asma, bronchiti, enfisema, allergie, tumori, problemi cardio-circolatori.

Particolato primario e secondario

Il calcolo eseguito dall’Ispra tiene conto del particolato primario e secondario insieme. Una novità che cambia la lettura dei dati e l’origine delle cause. Il primario è quello direttamente emesso dalle sorgenti inquinanti (ad esempio dai tubi di scappamento delle auto): il 59% è dovuto al riscaldamento, il 18% alle auto, il 15% all’industria, mentre il contributo degli allevamenti intensivi è irrisorio (l’1,7% di PM 2,5). Ma questa è una fotografia parziale della realtà. Le polveri, infatti, si formano anche in atmosfera a causa dei processi chimico-fisici che coinvolgono le particelle già presenti. In questi casi si parla di particolato secondario e le percentuali cambiano.

Il contributo degli allevamenti intensivi al PM 2,5 passa così dall’1,7% al 15,1%, diventando la seconda fonte di inquinamento totale da polveri.

«Il PM 10 e ancora di più il PM 2,5 – afferma Vanes Poluzzi, dell’Arpa dell’Emilia Romagna – sono composti per una percentuale rilevante da particelle di natura secondaria che si formano in atmosfera a partire da ossidi di azoto e zolfo, ammoniaca e composti organici volatili. Tale contributo secondario tende tra l’altro ad aumentare in caso di condizioni meteorologiche di stabilità atmosferica, quando si raggiungono i massimi livelli di inquinamento». E nelle principali città della Lombardia, una delle aree più inquinate del Paese, il particolato secondario è maggiore del primario.

L’attenzione verso gli allevamenti

L’Ispra punta il dito soprattutto verso gli allevamenti intensivi, i principali responsabili di emissione di ammoniaca nell’aria (il 76,7% a livello nazionale nel 2015), principale fonte di particolato secondario. Non solo: «Il problema è che il settore allevamenti non può essere oggetto di misure di emergenza». In altre parole: mentre per intervenire sul traffico si può bloccare la circolazione dei veicoli, o per ridurre l’effetto del riscaldamento si può limitare la temperatura interna, per intervenire sulla seconda causa di particolato in Italia, secondo Ispra, si deve ricorrere ad «azioni più strutturali, come la riduzione dei capi o le opzioni tecnologiche». Se si guardano i dati degli ultimi sedici anni, si vede come il settore allevamenti non ha subito alcun tipo di miglioramento in termini di inquinamento da PM. Anzi, se nel 2000 gli allevamenti erano responsabili del 10,2% di particolato, nel 2016 la percentuale di PM 2,5 causato dagli allevamenti ha subito un incremento del 32%. Il trend degli ultimi anni è chiaro: diminuisce l’inquinamento dovuto a auto, moto e del trasporto su strada, diminuisce quello legato ad agricoltura, industria e produzione energetica. Ma aumenta la quota legata al riscaldamento (che passa dal 15% del 2000 al 38% del 2016) e al settore allevamenti (dal 10,2% al 15,1% in sedici anni). Le frontiere su cui dovremo lavorare nei prossimi anni.

I nuovi limiti europei

Una direttiva del 2016 ha ridotto del 40% il tetto delle emissioni consentite di PM primario, oltre ad aver introdotto limiti per le emissioni di ammoniaca entro il 2030. E, secondo l’Ispra, se gli allevamenti intensivi non diminuiranno le emissioni, avremo problematiche con i superamenti delle concentrazioni di PM 2,5. Cosa stanno facendo le Regioni per arginare la situazione? Le prime linee guida risalgono al 2016 e prevedono il divieto di spandimento dei reflui zootecnici da novembre a febbraio e la copertura delle vasche di raccolta dei reflui. «Le Regioni stabiliscono questi divieti ma il problema sono i controlli – dice Daniela Cancelli di Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile –. Gli allevamenti sono tanti e i controlli chi li fa? Inoltre il ministero dell’Ambiente dovrebbe fare delle linee guida a livello nazionale, perché lasciare le Regioni e i Comuni a gestire l’emergenza non è efficace».

Oms, oltre 4 milioni i morti in Europa per inquinamento atmosferico

Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, nel 2016 circa 4,2 milioni di persone al mondo sono morte prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico. Inoltre, il 91% della popolazione mondiale vive in luoghi dove i livelli di qualità dell’aria non soddisfano i limiti fissati dall’OMS17.

L’Agenzia Europea dell’Ambiente stima che nel 2015 in Europa l’esposizione a concentrazioni elevati di PM sia stata responsabile della morte prematura di circa 442mila persone. Rispetto al PM 2,5, stando ai limiti dell’Unione Europea, nel 2016 circa l’8% di abitanti del vecchio continente sono stati esposti a questa particella oltre i limiti fissati, mentre stando ai ben più rigidi dettami dell’Organizzazione mondiale della sanità, tra il 74% e l’85% della popolazione europea è stata esposta a concentrazioni superiori ai limiti. Ovvero quasi tutti noi.

Per quanto riguarda le stime nazionali, secondo l’Ispra, in Italia il 7% circa di tutte le morti per cause naturali è stato imputato all’inquinamento atmosferico. Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, l’Italia è il secondo Paese in Europa per decessi prematuri; al primo posto la Germania, con 60.600 morti attribuite all’inquinamento da PM2,5 nel 2015.

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