Pubblicato in: Commercio, Devoluzione socialismo

Confcommercio. 2021. Chiuderà 1 impresa su 4 in ristorazione ed alloggio.

Giuseppe Sandro Mela.

2021-03-01.

2021-02-24__ Confcommercio 001

«Meno negozi, meno attività ricettive e di ristorazione e solo farmacie e informatica e comunicazioni in controtendenza col segno più. Questo il quadro delle città italiane come emerge dall’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio “Demografia d’impresa nelle città italiane” secondo cui tra il 2012 e il 2020 è proseguito il processo di desertificazione commerciale.

                         Negozi fisici e ambulanti in forte riduzione

Nel dettaglio, in circa otto anni, sono spariti 77mila negozi in sede fissa, con una riduzione del 14% e quasi 14mila imprese di commercio ambulante (-14,8%) mentre per converso cresce dell’8,8% il numero di attività di alloggio e ristorazione. A livello territoriale, il Sud, rispetto al Centro-Nord, perde più ambulanti, ma registra una maggiore crescita per alberghi, bar e ristoranti. La pandemia inoltre acuisce certe tendenze e ne modifica drammaticamente altre: nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre ad un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (- 17,1%), si registrerà per la prima volta nella storia economica degli ultimi due decenni anche la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%).

Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%, il futuro è molto incerto.

Nel commercio totale (ingrosso e dettaglio), in particolare, le imprese italiane si sono ridotte del 6,9% e quelle straniere sono cresciute del 27,5%, confermando il ruolo del commercio per le attività degli stranieri e anche quanto sia importante per il commercio l’attività degli stranieri.

Anche il commercio elettronico, che vale ormai più di 30 miliardi, registra cambiamenti a causa della pandemia: nel 2020 è in calo del 2,6% rispetto al 2019 come risultato di un boom per i beni, anche alimentari, pari a +30,7% e di un crollo dei servizi acquistati (-46,9%).

                         Centri storici: potenziali chiusure nel 2021

I settori soggetti a chiusure per gli eventi eccezionali del 2020, ossia la pandemia, sono il commercio al dettaglio non specializzato, carburanti, computer e telefonia, mobili e ferramenta, libri e giocattoli, vestiario e calzature, commercio ambulante, alberghi, bar e ristorazione. Sono esclusi da questa stima tutti quei settori (commercio alimentare in sede fissa, commercio elettronico, farmacie, tabaccherie e altri) per i quali l’impatto della pandemia è stato meno violento rispetto agli altri.» [Fonte]

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Ufficio Studi di ConfcommercioDemografia d’impresa nelle città italiane

«Macro-trend totale ITALIA. Tutte le attività considerate oggi ammontano a oltre 925mila unità: 474mila riguardano il commercio al dettaglio in sede fissa; gli ambulanti sono circa 80mila; quasi 346mila è il totale di bar, ristoranti e alberghi; quasi 25mila sono le attività registrate come altro commercio. Tra il 2012 e il 2020 sono spariti 77mila negozi in sede fissa, con una riduzione del 14,0%; per converso cresce dell’8,8% il numero di attività di alloggio e ristorazione.

L’approfondimento di questi macro-trend sui 120 comuni medio-grandi prescelti presenta qualche differenza rilevante: non solo spariscono più rapidamente negozi fissi e ambulanti, ma le città attirano turismo, relazioni, convivialità, ricreazione e cultura, esattamente i settori più colpiti dalla pandemia. Gli effetti di queste dinamiche: se ieri il quadro era caratterizzato da meno commercio e più turismo, domani probabilmente sarà meno commercio e meno turismo con inediti problemi di equilibrio nella vita sociale dentro le città e in particolare dentro i centri storici.»

«Ad eccezione di due aspetti. Si registra un trend di riduzione dei negozi, fissi e ambulanti che ha a che fare con una specie di selezione naturale: i marginali che magari erano entrati come imprenditori della vecchia guardia degli anni ’70 e ’90 stanno uscendo ed entrano i giovani, ma sono più quelli che escono di quelli che entrano. Mentre i canoni di locazione testimoniano la vitalità della città piuttosto che un costo fisso per l’esercente. In altre parole se l’economia cittadina cresce il negoziante i soldi per pagare un affitto elevato li trova; se la città langue, non li trova neppure per pagare un affitto basso.

Il commercio elettronico certamente abbassa ricavi e margini per i negozi fisici, ma visto che ormai vale più di 30 miliardi, qualcosa come il 6-7% della spesa eleggibile per passare dal canale virtuale, non si può escludere che per i negozi anche piccoli che lo utilizzano sia un fattore di sviluppo. Le evidenze complessivamente sono incerte.

Comunque va tenuto conto che anche il commercio online registra cambiamenti a causa della pandemia e questo può fare paura: si sono ridotti gli acquisti nel complesso, ma esclusivamente a causa della riduzione dei servizi acquistati sul canale virtuale perché per i beni, anche per gli alimentari, il boom dell’online c’è stato ed è abbastanza illusorio che si torni completamente indietro quando l’epidemia sarà finita.

Questa è una nuova sfida per i negozi fisici, che non possono più rimanere solo fisici.»

«Centri storici, una questione eccezionalmente rilevante perché si tratta di capire come vivremo nel futuro prossimo. Una prima evidenza meritevole di attenzione è la riduzione del commercio al dettaglio in sede fissa nei centri storici, solo leggermente superiore a quella fuori dai centri storici. Il conteggio sconta una diversa struttura urbanistica tra centri e non centri. Perdere 4 negozi fuori dal centro magari vuole dire che cinque hanno chiuso e uno più grande ha aperto, con un saldo di meno 4. Nel centro storico, invece, queste sostituzioni sono tecnicamente molto più difficili. E’ per questa ragione che, riguardo il commercio fisso, le riduzioni nei centri pesano di più proprio con riferimento all’eventuale riduzione dei livelli di servizio. Prosegue il processo di razionalizzazione dell’ambulantato, soprattutto nei centri storici delle città meridionali (-24,2% contro una riduzione nel periodo 2012-2020 del 15,4% nel Centro-Nord). È sempre positiva la dinamica dei pubblici esercizi, anche se la qualità dell’offerta, causa effetto composizione, secondo alcuni attenti osservatori, rischia di deteriorarsi. Questi sono i risultati per quanto riguarda il passato. Il futuro costituisce un’incognita difficile da decifrare: soprattutto nei centri storici delle città considerate si osserverà una riduzione delle attività legate al turismo. Non si può affermare, tuttavia, con certezza che questa riduzione – che si registrerà nel 2021 – sarà permanente. È un’eventualità che non si può escludere. La ripresa del settore dipenderà sia dal livello dei ristori sia dalla capacità delle singole aziende e delle istituzioni economiche di intraprendere iniziative di cambiamento della gestione dell’impresa (garanzia di sicurezza, asporto, canale virtuale, delivery efficace ed efficiente) consistente in un decisivo upgrade rispetto agli standard attuali.»

«Anche prima della pandemia il tessuto commerciale dei centri storici stava cambiando. Tiene bene la numerosità dei negozi di base come gli alimentari e quelli che oltre a soddisfare bisogni primari svolgono nuove funzioni (ad esempio le tabaccherie, ormai punti di supporto alla gestione di tante esigenze anche finanziarie delle famiglie). Significativi sono anche i grandi cambiamenti legati alle modificazioni dei consumi: tecnologia e comunicazioni e farmacie. Queste ultime sono luoghi per sviluppare la cura del sé piuttosto che punti di approvvigionamento dei medicinali tradizionali. Il resto dei settori merceologici è in rapida discesa e sono i negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali e comunque fuori dai centri storici: mobili e ferramenta, giocattoli, vestiario, pompe di benzina, con riduzioni attorno o oltre il 20% nei quasi dieci anni appena trascorsi. È importante notare che la pandemia acuisce questi trend e lo fa con una precisione chirurgica. I settori che hanno tenuto o che stavano crescendo cresceranno ancora, quelli in declino rischiano proprio di scomparire dai centri storici.»